Niente numeri per governare, è già caccia ai nuovi «responsabili»

Niente numeri per governare, è già caccia ai nuovi «responsabili»
di Di Giacomo e Lo Dico
Giovedì 8 Marzo 2018, 06:47
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C'è finora un comune denominatore a frazionare le varabili governiste di Salvini e Di Maio: la pesca di parlamentari all'interno del Pd, unico vero bacino di voti potenziali che serve peraltro a raggiungere il quorum per l'elezione dei presidenti di Camera e Senato, si sta rivelando molto scivolosa per entrambi. I pontieri del centrodestra sono già partiti nell'opera di scandagliamento alla ricerca dei papabili «volenterosi», ma l'operazione è piuttosto ardua per via dello stallo in cui è piombato il Nazareno. Nuovi spiragli potrebbero aprirsi nel congresso di lunedì. Ma finora i nomi dei parlamentari dem annotati nella lista da Salvini, in queste ore frenetiche vengono aggiunti, cancellati e poi ancora riscritti.

Al Senato la pattuglia dei possibili «peones» è molto ristretta. Molto dipenderà dalle decisioni che assumerà Matteo Renzi, che a Palazzo Madama ha ancora un margine per dettare la linea al suo gruppo parlamentare. La maggior parte dei 54 senatori eletti nel Pd proviene a maggioranza dalla corrente di partito del leader dimissionario. Nell'elenco degli «abbordabili» al vaglio dei parlamentari del centrodestra, ci sono finiti tutti quei senatori che hanno manifestato i propri malumori verso il segretario uscente: Luigi Zanda, Roberta Pinotti, Franco Mirabelli, Annamaria Parente, Alan Ferrari, Bruno Astorre e gli orlandiani Roberto Rampi e Monica Cirinnà. Dal canto suo, Renzi, qualora fosse disponibile a intavolare delle trattative, può contare comunque su una quindicina di senatori a lui vicini: tra questi figurano Andrea Marcucci, Dario Parrini, Salvatore Margiotta e Francesco Bonifazi. Michele Emiliano, fautore invece dell'alleanza con il Movimento 5 Stelle, non può contare su nessun senatore, l'unico parlamentare vicino al governatore pugliese è il deputato Francesco Boccia. Restando al Senato, nella lista dei «volenterosi» stilata dai salviniani sono finiti anche i tre eletti nel Pd rappresentanti delle altre liste aggregate ai Democrat: Riccardo Nencini, Pierferdinando Casini ed Emma Bonino. Sugli ultimi due però sussistono forti dubbi in ottica Salvini: Casini avrebbe l'intenzione di correre a sindaco di Bologna con l'appoggio del Pd, mentre le posizioni sull'immigrazione di Bonino renderebbero ardua un'alleanza con la Lega.
 
Se al Senato è stata stilata un'ipotetica lista, alla Camera il tentativo di creare un elenco dei potenziali «peones» è ancora più complesso, anche perché a Montecitorio mancano al centrodestra meno di cinquanta di parlamentari per avere la maggioranza. Alla Camera i deputati eletti nel Pd sono 112 e quasi la metà di questi sono indicati fino a oggi come vicini a Renzi. Impossibile azzardare ammiccamenti prima che si tenga l'assemblea convocata lunedì dai Democrat.
Se, se, se. Da via Bellerio ad Arcore, il verbo «governare» si declina all'insegna del periodo ipotetico. L'intenzione sembra per ora quella di mandare avanti i pentastellati, proprio come chiarito ieri da Berlusconi nel vertice con Tajani e Brunetta. E semmai di soffiare il boccino che Mattarella pare orientato ad affidare in prima battuta a Di Maio, nella speranza che il lancio a sinistra finisca fuori campo. «Tempi lunghi, governo breve», è l'adagio che risuona per ora nelle telefonate che rimbalzano tra Roma e Milano. Ma non per questo si può restare con le mani in mano. Forzisti e leghisti smentiscono seccamente: contatti diretti non ce ne sono stati con nessuno. Ma il supporto dei 14 transfughi grillini messi alla porta da Di Maio farebbe molto gola qualora il centrodestra fosse chiamato a cimentarsi nella prova di governo: a verbale ci sono le pubbliche sortite di Berlusconi e Brunetta. Specie al Senato, dove il «magic number» della maggioranza dista per il centrodestra soltanto 14 voti (già in cassa 145 seggi + due conquistati all'estero), provare l'abboccamento è un obbligo. Sulle scrivanie di Forza Italia, è caldo in questo senso il nome dell'avvocato stabiese Lello Vitiello, espulso (ma mai formalmente) dal Movimento perché avrebbe taciuto i suoi trascorsi in una loggia massonica. Ritenuto un uomo di destra, di valori liberali, l'avvocato non si presterebbe però a un'assimilazione, come più volte ribadito in recenti interviste. A meno che l'intesa con il centrodestra non comprendesse proprio quei Cinque Stelle di cui si sente ancora fiero appartenente. Qualche pensierino si fa anche su un altro avvocato. Espulso dopo la bufera Rimborsopoli ma rieletto, il senatore Maurizio Buccarella nega ogni tipo di contatto. Ma molti scommettono che a breve si farà vivo il collega di Forza Italia, Niccolò Ghedini. Più complesso il caso dell'altro senatore in Parlamento a dispetto di Di Maio, Emanuele Dessì. Allontanato dopo la vicenda della casa a sette euro, l'imprenditore ha lanciato nella notte della sua elezione un'esca che non è passata inosservata: «È una bellissima nottata», ha scritto su Facebook. Occhi puntati anche sul senatore, epurato e rieletto in Piemonte, Carlo Martelli. La proclamazione, ha detto pochi giorni fa, è una procedura automatica e «non esiste nessun giudice che possa annullarla».

Se al Senato si gioca di fino, alla Camera c'è da aprire un cantiere: il tabellone di Montecitorio dice che il centrodestra è inchiodato a quota 273 seggi (di cui 5 presi all'estero). All'appello ne mancano ben 43, ma i numeri restano ballerini perché 11 non sono ancora stati ufficialmente assegnati. I volenterosi grillini in questo caso non basterebbero. Ma si guarda comunque con attenzione, specie la Lega, all'espulsa e rieletta deputata veneta Silvia Benedetti e alla nemesi pesarese di Marco Minniti, Andrea Cecconi (entrambi mandati via da Di Maio per il caso rimborsi). Il vero dossier bollente sulla scrivania di Forza Italia, è però quello di Salvatore Caiata, primo eletto alla Camera nel collegio uninominale di Potenza. Il M5s lo ha messo alla porta perché accusato di aver taciuto dell'inchiesta per riciclaggio esplosa sui giornali poco prima del voto. Ma se il presidente del Potenza Calcio (che ora anche il M5s vorrebbe riportare a casa) restasse nel gruppo misto, sarebbe un rinforzo ideale. Imprenditore ben noto in Forza Italia, Caiata è stato nel 2009 tra i coordinatori del Pdl a Siena. In fondo si tratterebbe di un ritorno a casa. Dato per perso Antonio Tasso, eletto con percentuali bulgare a Foggia (imminente la reintegra nel M5s dopo la frettolosa espulsione per il caso dei cd taroccati), non si perde di vista l'autosospesa Giulia Sarti. La caccia ai nuovi responsabili è già cominciata.
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