«Pd sconfitto», Renzi lascia ma solo dopo il nuovo governo

«Pd sconfitto», Renzi lascia ma solo dopo il nuovo governo
di Alberto Gentili
Martedì 6 Marzo 2018, 09:53
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«Mi dimetto, ma non adesso». Matteo Renzi, nel giorno della «sconfitta netta, chiara ed evidente», conia una nuova formula: le dimissioni differite. Una mossa per poter continuare a dare le carte da qui alla formazione del prossimo governo. Se, e quando, avverrà. Trattare sulle presidenze di Camera e Senato. E, in caso di elezioni anticipate, restare alla guida del partito conservando il potere e il diritto di scegliere i candidati per le liste: il core business di ogni partito.

L'annuncio arriva dopo una lunga notte e una giornata di passione. Stretto d'assedio da Dario Franceschini e Andrea Orlando, da Marco Minniti e Graziano Delrio, il segretario a metà mattina è pronto alle dimissioni. Si parla già di una reggenza affidata al vicesegretario Maurizio Martina o al presidente Matteo Orfini e di un'assemblea nazionale per eleggere il nuovo leader entro un mese. Scelto perfino il candidato: il ministro Delrio. Oppure, in alternativa, Minniti. Tant'è, che la notizia dell'addio rimbalza perfino su agenzie di stampa e tv.

Poi, però, scatta il pressing dei suoi, dei componenti del Giglio Magico. Francesco Bonifazi e Lorenzo Guerini, Maria Elena Boschi e Luca Lotti, cominciano a martellare Renzi. «Se lasci adesso», è il ragionamento, «il partito sarebbe senza guida in una fase cruciale e davanti a una fase istituzionale delicata. Annuncia che ti dimetti, ma aspetta ad abbandonare il timone». Commento di un renziano ormai disincantato: «La verità è hanno preso gusto al potere, che pensano a qualche vicepresidenza di qualche Camera. E se al comando ancora Renzi, hanno qualche chance di agguantare qualche posto. Se Matteo lascia si ritrovano turisti in giro per Roma». 

Vero? Di certo c'è che il portavoce Marco Agnoletti a fine mattina smentisce la voce delle dimissioni: «A noi non risulta». E la conferenza stampa fissata per le cinque di pomeriggio slitta di oltre un'ora. Passate le sei Renzi si presenta davanti a telecamere e taccuini.
 
Il copione è molto diverso da quello che si aspettano Franceschini & C. Renzi ammette la sconfitta, ma addebita la responsabilità a Sergio Mattarella e a Paolo Gentiloni pur senza citarli: «L'errore principale è stato di non capire che dovevamo votare nell'aprile scorso o in settembre, le due finestre in cui sono andate alle urne Francia e Germania». Di più, puntando l'indice contro la presunta irrilevanza dell'azione del governo: «Il simbolo di questa campagna deludente è il collegio di Pesaro. Lì avevamo messo Minniti che ha cambiato le politiche dell'immigrazione e ha dato una soluzione al problema. Ma è stato sconfitto dal candidato dei cinquestelle, il signor Cecconi, che era stato giudicato impresentabile dagli stessi grillini» perché aveva barato sui rimborsi «ed era scappato e se n'era andato in vacanza. Eppure ha vinto lo stesso contro ogni valutazione di merito».

Il passo successivo è l'annuncio dell'addio. Ma, appunto, in differita: «È ovvio che dopo questo risultato lascio la guida del Pd. Com'è previsto dallo statuto ho chiesto al presidente Orfini di convocare l'assemblea nazionale e di aprire la fase congressuale. Questo però accadrà al termine dell'insediamento delle Camere e della formazione del nuovo governo». E per anticipare le critiche e lo sgomento degli alleati di partito, Renzi spiega la scelta attaccando: «Non è possibile evitare un confronto vero dentro al Pd su ciò che è accaduto in questi mesi e anni. Un congresso serio e risolutivo. Per questo dico no a un reggente scelto da un caminetto e sì a un segretario eletto con le primarie».

Da lì a breve scatta la rivolta. Tutti a parlare di «dimissioni fantasma». Di «segretario rinchiuso nel bunker». Guerini prova a metterci una pezza: «Nessuna dilazione, le dimissioni di Renzi sono verissime. Lunedì faremo la Direzione e quello sarà il luogo e il momento per aprire una riflessione seria e responsabile». Ma neppure lunedì scatterà l'ora dell'addio. Più tardi Orfini conferma: «Dopo la direzione fisserò la data di convocazione dell'assemblea». L'altro paletto fissato da Renzi è il no a sostenere un governo dei Cinquestelle o della Lega: «Sono garante di un impegno morale, politico, e culturale. Non faremo mai un governo con gli estremisti. Da Salvini e Di Maio si dividono il sentimento anti-europeo, la loro anti-politica e l'utilizzo dell'odio verbale. Ci hanno chiamato corrotti, mafiosi. E allora sapete che c'è? Si facciano il governo da soli, senza di noi. Il nostro posto è l'opposizione, non fare inciuci». Per finire un accenno personale, per dare credibilità all'annuncio delle dimissioni: «Cosa farò? Terminata la fase dell'insediamento delle Camere farò il senatore semplice. Il militante tra i militanti». Chissà.
 
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