Elezioni Regionali Lazio e Lombardia, governo al test: alle urne un italiano su 4. I candidati e come si vota

Chiamati ai seggi 12 milioni di elettori. Sul risultato pesa l’incognita affluenza

Elezioni Regionali Lazio e Lombardia, governo al test: al voto un italiano su 4
Elezioni Regionali Lazio e Lombardia, governo al test: al voto un italiano su 4
di Andrea Bulleri
Domenica 12 Febbraio 2023, 00:06 - Ultimo agg. 13 Febbraio, 08:30
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Due Regioni, 16 milioni di abitanti, nove candidati e un’incognita che potrebbe sparigliare le carte: quella dell’affluenza. Urne aperte oggi e domani nel Lazio e in Lombardia per decidere chi sarà chiamato a guidare le due Regioni per i prossimi cinque anni. Sul piatto però c’è molto più che il rinnovo di due giunte, una di centrodestra (quella uscente in Lombardia) e una di centrosinistra (nel Lazio). Perché ai seggi sono chiamate circa 12 milioni di persone, quasi un elettore italiano su quattro. E oltre a coinvolgere la Capitale politica – e quella finanziaria – del Paese, il voto riguarda le prime due Regioni italiane per Pil in valore assoluto. Ecco perché la tornata assume un forte valore simbolico. 
Non è tutto. Perché quello di oggi e domani è il primo vero appuntamento elettorale dalle Politiche di settembre. Ed è forte la tentazione di leggere il risultato come un referendum sui primi tre mesi a Palazzo Chigi di Giorgia Meloni. Anche nello stesso esecutivo «Sarà un voto di fiducia sul governo», ha alzato la posta nei giorni scorsi il ministro degli Esteri Antonio Tajani. Per non parlare delle partite interne alle coalizioni e del possibile impatto sui destini personali dei leader (di cui raccontiamo nella pagina a fianco). 

I CANDIDATI

Vietato sbagliare, dunque. Per questo fino a venerdì sera i nove candidati in campo (quattro nel Lazio, cinque in Lombardia) hanno girato il territorio in lungo e in largo, a caccia dell’ultimo voto. Per la Pisana si fronteggiano Francesco Rocca (ex presidente della Croce rossa in lizza per il centrodestra), Alessio D’Amato (assessore uscente alla Sanità, sostenuto da Pd, Terzo Polo, +Europa e Verdi-Sinistra) e Donatella Bianchi (giornalista, presidente del Parco delle Cinque terre, in corsa per M5S e Polo progressista). Ma sono in campo anche le outsider Rosa Rinaldi (Unione Popolare) e Sonia Pecorilli (Pci). 

Poco meno affollata la corsa al Pirellone. Per il centrodestra tenta il bis il governatore uscente Attilio Fontana (leghista, sostenuto anche da FdI, FI e Noi moderati): deve vedersela con Pierfrancesco Majorino, eurodeputato Pd, sostenuto anche dai Cinquestelle. Corre da solo invece in questo caso il Terzo polo, che schiera l’ex sindaca di Milano ed ex presidente Rai Letizia Moratti. Completa il quadro Mara Ghidorzi, per Unione popolare. 

 

Si vota in un turno unico (oggi, dalle 7 alle 23, e domani dalle 7 alle 15), senza ballottaggio. Dunque vince chi arriva primo, sia nel Lazio che in Lombardia. L’elettore ha diverse opzioni: si può tracciare una croce solo sul nome del candidato presidente preferito (il voto non si estende alle liste collegate), oppure soltanto sul simbolo di una lista (in questo caso il voto vale anche per il candidato governatore collegato), o sul candidato presidente e una lista collegata. Ma è anche possibile scegliere un candidato presidente e una lista diversa da quelle che lo sostengono: è il cosiddetto voto disgiunto, a cui nelle ultime ore hanno fatto appello gli aspiranti governatori del centrosinistra, che puntano a incassare il sostegno (almeno parziale) degli elettori terzopolisti in Lombardia e pentastellati nel Lazio. 
Se nessuno dei nomi in campo otterrà più del 50% +1 uno dei voti, poco male: sia alla Pisana che al Pirellone è prevista la possibilità di un premio di maggioranza per il primo classificato, che scatta a determinate condizioni (fino a dieci seggi “premio” nel Lazio, fino a 48 seggi “garantiti” su un totale di 80 in Lombardia). 

INCOGNITA AFFLUENZA

Oltre agli appelli dell’ultimo minuto (come, a silenzio elettorale inoltrato, quello di Matteo Salvini: «Scegli il buongoverno della Lega»), a pesare sarà anche un’altra variabile: l’affluenza. Cinque anni fa, ai seggi si recò il 66% degli aventi diritto nel Lazio e il 73% in Lombardia. Alle Politiche di settembre, invece, il dato fu il più basso di sempre, il 63,8%. E c’è chi teme che la tendenza al ribasso possa replicarsi. Con un effetto sull’esito della corsa quasi impossibile da prevedere. 
 

LE PARTITE DEI LEADER - GLI SCENARI POST ELEZIONI

di Francesco Malfetano

Giorgia Meloni - Fratelli d'Italia

“Quota 30” e il timore di surclassare gli alleati

«Il test è sul governo». Giorgia Meloni e gli alleati di centrodestra non l’hanno mai negato. E il fatto che alle urne andranno in 12 milioni di aventi diritto è senza dubbio una conferma. Posto però che il Lazio non vede in discussione la centralità di Fratelli d’Italia, la temperatura sulle scelte governative si misurerà più che altro al Pirellone. La Lombardia è stata il totem del centrodestra per anni e, in realtà, ha pure già sancito il cambio della guardia nella coalizione. Alle politiche, FdI ha preso il 26%, più della somma degli altri due partiti della coalizione. A settembre Forza Italia e Lega infatti sono state appaiate all’8%. Migliorare ancora questi numeri, sfiorando l’agognata “quota 30”, rischia di trasformarsi in un boomerang per Meloni. Un’umiliazione in casa, con il governatore uscente leghista assediato da un consiglio a maggioranza meloniana, può infatti risvegliare il vento del Nord che pressa Matteo Salvini attraverso i comitati locali. Idem per gli azzurri lombardi e, soprattutto, per la compagne di FI in Parlamento. Un imbizzarrimento che però verosimilmente non si tradurrà in crisi durature o improbabili rimpasti, ma costringerà Meloni a guardarsi le spalle più di prima. 
Un’abitudine che, peraltro, il premier potrebbe dover sviluppare anche sul fronte interno.

La pax elettorale tra il partito e il gruppo romano guidato da Rampelli può, al netto degli equilibri numerici del consiglio, portare a più di un conflitto a via della Scrofa. 

Matteo Salvini - Lega

Bomba lombarda sul voto, il Carroccio può spaccarsi

C’è una casella, nel voto in Lombardia, che permetterà di comprendere com’è realmente andato il voto regionale a seconda di chi la occuperà: la Sanità. Se la riconferma del leghista Attilio Fontana non è infatti in dubbio - come non lo è il “boom” di consiglieri di Fratelli d’Italia - il superamento della soglia di guardia del 30% da parte dei meloniani, finirà con lo spingere le truppe di FdI a chiedere, appunto, quella che è la casella più ambita. Uno smacco che per Matteo Salvini, preoccupatissimo per il voto nonostante la bandierina dell’Autonomia sventolata con forza in questa campagna elettorale, rischia di aprire la strada ad una nuova sollevazione dei leghisti del Nord-est. I gruppi territorialmente più vicini ai governatori Zaia e Fedriga (che va verso la riconferma in Friuli il 2 e 3 aprile prossimo) da tempo hanno messo nel mirino la gestione del Capitano. Il clima quindi, con le Europee 2024 nel mirino, rischia di farsi bollente. Per ora si è riusciti ad evitare un nuovo congresso ma, se i lombardi più vicini a Umberto Bossi dovessero fare quadrato con il nordest le cose cambierebbero. Nel Lazio invece, il voto sancirà il definitivo fallimento della dimensione nazionale che ha portato la Lega agli exploit degli anni scorsi. Come ciò potrà impattare sul governo è impossibile a dirsi, ma che presto o tardi lo farà è difficile da escludere.

Silvio Berlusconi - Forza Italia

La gara delle correnti per controllare il partito

Non è un mistero che oggi Forza Italia più che per vincere, lotti per resistere. Per sostanziare cioè quell’8 per cento faticosamente ottenuto al voto dello scorso 25 settembre, e quel ruolo di ago della bilancia nella coalizione di governo diventato ragione stessa di sopravvivenza. La sfida per Silvio Berlusconi è però difficilissima. E lo dimostra la sua marcata presenza in campagna elettorale. Che si trattasse di Roma o Milano, un saluto o un videomessaggio, non è mai mancato a nessuna convention. 
Chi invece si è visto solo “a sedi alterne” sono Tajani e Ronzulli. Il primo, plenipotenziario a Roma, punta ad un risultato “facile” e una presenza discreta a via della Pisana, senza troppo pestare i piedi a FdI (come all’interno dell’esecutivo). La seconda, battagliera leader degli eletti azzurri e del Nord, è costretta a lottare con il fantasma di Moratti, rischiando di un’irrilevanza sostanziale al Pirellone. Schiacciata più che dal calante radicamento salviniano, dall’esplosiva crescita meloniana.
L’aria non è ancora quella della resa dei conti ma se i risultati di oggi e domani dovessero consegnare al partito cifre insoddisfacenti, la pressione azzurra su Giorgia Meloni aumenterà a dismisura.

Il nuovo segretario - Partito Democratico

Resistere senza un capo: le incognite del Nazareno

L’imperativo è tenere duro. O meglio, aggirare la boa del voto regionale provando a non affondare. Puntando cioè alla prossima tornata quando a prua, dopo le primarie del 26 febbraio, ci sarà un capitano differente. Per il Nazareno sono elezioni di “transizione”. In primis per quanto riguarda le alleanze. La geometria variabile che caratterizza Lazio e Lombardia è l’esatta rappresentazione della confusione che i dem non potranno più permettersi dopo i gazebo. L’indecisione è evidente: nella corsa per la poltrona del Pirellone il Pd sostiene il candidato Pierfrancesco Majorino insieme al M5S (con gli ultimi sondaggi disponibili che lo considerano molto indietro rispetto al governatore uscente leghista Fontana), mentre il Terzo Polo appoggia Moratti. Nel Lazio la situazione è opposta: accanto al Nazareno per Alessio D’Amato ci sono Azione e IV, mentre il M5S sostiene Bianchi. Anche qui il risultato non sembrerebbe cambiare, con il candidato di centrodestra Rocca avanti. Se l’esito potrebbe apparire scontato però, non lo sono gli strascichi. Numeri alla mano esiste la possibilità che la lista dem laziale possa essere superata da quella grillina, aprendo una voragine con ripercussioni a prescindere da chi finirà al Nazareno. La sfida delle primarie quindi, più che una laedership riguarda la rinascita del partito. Che alla fine la spunti il favorito Bonaccini o Schlein (De Micheli e Cuperlo sono molto staccati), per il Pd la sfida sarà “re-imparare” a fare opposizione.

Giuseppe Conte - Movimento 5 Stelle

Nel mirino dei grillini il primato a sinistra

Drenare tutte le energie del centrosinistra per intestarsi, alla fine, la leadership dell’opposizione. Il progetto di Giuseppe Conte è forse, fuori dalla maggioranza, il più chiaro tra quelli dei partiti. La strategia è più o meno la stessa delle politiche: non cedere alle sirene di apparentamenti strutturali con i dem, aspettando fino all’ultimo per sfilargli consensi. Al costo di rischiare una batosta. Tant’è che è stato anche respinto l’appello al voto disgiunto del laziale D’Amato (il M5S sostiene il candidato del Pd in Lombardia, ma non per via della Pisana). 
La convinzione a via di Campo Marzio è che la “sconfitta” annunciata dagli ultimi sondaggi sarà in realtà un edificante punto di partenza. Specie se riuscirà a portare quattro o cinque consiglieri nelle giunte di Lazio e Lombardia. La prima vera prova di un piano che dovrà fare i conti con il nuovo corso dem e gli attacchi del Terzo Polo, è però rimandata al prossimo anno. 
La cartina di tornasole dei risultati ottenuti da Conte con il “finalmente suo” partito la si otterrà solo alle Europee del 2024. Se riuscirà il colpo di carambola con cui sta cercando di portare i grillini nella famiglia Ue dei Verdi, per Conte la partita si farà decisamente più interessante.

Carlo Calenda - Terzo Polo

L’obiettivo di Azione-Iv: superare i dem nel Lazio

Per Carlo Calenda e Matteo Renzi il ruolo di “terzi incomodi” sembra essere una vocazione più che una necessità. Con due mosse opposte - Moratti da soli in Lombardia per sconquassare il centrodestra e mettere radici, D’Amato con il Pd nel Lazio per togliere voti alla lista dem e ridurre al lumicino i margini M5S - Azione e Iv possono riuscire ad andare ugualmente a dama. La loro partita, al solito, è stata molto tattica e li ha visti giocarsi tutto per il Pirellone, e apparire poco per via della Pisana. Quale che sarà il risultato reale delle urne bisognerà quindi guardarlo in controluce. L’exploit di Moratti può rendere poco affidabile l’asticella del bipolarismo (togliendo voti anche a FI) e confermare o meno l’ambizione mai taciuta del duo Renzi-Calenda per il voto Ue del 2024, cioè diventare il primo partito del Paese. Un obiettivo per cui nel Lazio - territorio forte per Iv e Azione - si guarda invece al collasso dem. Se al netto delle liste civiche Pd e Terzo Polo dovessero appaiarsi attorno a numeri simili, la credibilità del progetto ne guadagnerà in maniera significativa. Specie perché per la prossima tornata del Friuli Venezia Giulia (2 e 3 aprile) è stata già sancita l’intesa più naturale, quella con +Europa, che in prospettiva permette di guardare alla soglia del 10% di preferenze a livello nazionale. 

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