L'offerta del Senato al Pd per sdoganare i cinque stelle

L'offerta del Senato al Pd per sdoganare i cinque stelle
di Pietro Perone
Mercoledì 7 Marzo 2018, 07:01 - Ultimo agg. 13:04
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Archiviata la seconda Repubblica, in attesa della terza, la sfida di questa legislatura sarà quella di istituzionalizzare i parlamentari di M5S eletti sulla spinta della contestazione radicale al sistema politico che abbiamo conosciuto finora. Una generazione di deputati e senatori venuti fuori attraverso il radicalismo della Rete e che ora devono però fare i conti con i numeri e le regole della democrazia.

Nelle stanze dei Palazzi romani viene fuori tra le possibili soluzioni per il governo, l'idea di una sorta di «contratto» per l'Italia, un patto che dovrebbe passare per l'elezione delle due principali postazioni dello Stato, i presidenti di Camera e Senato. Non è un caso che Luigi Di Maio tra le poche parole pronunciate subito dopo la vittoria abbia aperto al dialogo «con tutti» a partire proprio dalla nomina dei vertici parlamentari, che lui stesso ha ricordato essere postazioni di garanzia. Segnale di disponibilità snobbato nella bolgia post elettorale, ma che potrebbe diventare il cardine del futuro confronto politico.
 


Il resto dei partiti, o buona parte di essi, di fronte all'impossibilità di soluzioni alternative a un governo senza Cinquestelle o Lega potrebbero essere costretti a prendere atto che, fallito il tentativo da parte di Renzi e Berlusconi di presentare i grillini e i leghisti come un pericolo per la democrazia, la «creatura» di Grillo è più disponibile, rispetto al Carroccio, a farsi «istituzionalizzare». Cosa che ha già capito, con la praticità tipica degli imprenditori, il vertice di Confindustria, tempestivo all'apertura di credito nei confronti di Di Maio e compagni. Altre disponibilità potrebbero arrivare nei prossimi giorni affinché si dia il via a un percorso di «istituzionalizzazione» del Movimento, che a sua volta potrebbe offrire esplicitamente al Pd e a quello che resta della sinistra la presidenza del Senato.
 
Uno schema mutato non dalla seconda, ma dalla prima Repubblica, che nei momenti peggiori per la Nazione superava steccati e rancori riannodando i fili del dialogo istituzionale da cui vennero poi fuori inedite soluzioni parlamentari e di governo. Fu infatti la Dc a contribuire all'elezione dei comunisti Pietro Ingrao e Nilde Iotti alla guida di Montecitorio, il primo nella stagione della solidarietà nazionale; la seconda per tenere comunque in piedi il dialogo nel pieno degli anni peggiori della storia del Paese, quelli del terrorismo brigatista.

Una soluzione che potrebbe tornare utile oggi, con le dovute differenze, quando bisognerà trovare una maggioranza per dare vita a un governo che non sia dei Cinquestelle ma «anche loro». Protagonisti a pieno titolo di un «gioco» fatto di alleanze e compromessi, mediazioni e ricerche della migliore soluzione possibile rispetto ai problemi del Paese.

È naturale che una tale sfida passi prima per il Pd e Leu, visto che M5S esclude il dialogo con la Lega, consapevole che un patto con la destra rischierebbe di dilaniare il Movimento in cui i retaggi della cultura di sinistra sono maggiori rispetto a quelli di destra. In un tale scenario anche Berlusconi potrebbe essere un interlocutore, ma per entrare in gioco dovrebbe scaricare Salvini, disfacendo una coalizione rimessa in piedi a fatica e il cui equilibrio resta molto sottile.

Il problema, dunque, è convincere soprattutto Matteo Renzi che, intuito dove si va a parare, si è messo subito di traverso, ma il Pd in questo momento appare come una pentola in ebollizione in cui tutto potrà accadere, tra improvvisi addii e defezioni una volta che saranno costituiti i gruppi parlamentari. Non manca la variabile di nuovi leader in arrivo, primo segnale l'adesione del ministro Carlo Calenda via Twitter, reduce da una campagna elettorale a favore di Bonino e nottetempo suggestionato dalla rifondazione del Pd.

Decisiva sarà la prossima settimana per capire se in un «mondo nuovo» potrà essere applicato uno schema antico che Mattarella ben ricorda, sempre che i protagonisti di oggi mostrino la stessa responsabilità di quelli di ieri.
 

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