Schlein scalda la piazza tra la rassegnazione dei dem: «Ho una compagna ma non sono meno donna»

Schlein scalda la piazza tra la rassegnazione dei dem: «Ho una compagna ma non sono meno donna»
Schlein scalda la piazza tra la rassegnazione dei dem: «Ho una compagna ma non sono meno donna»
di Mario Ajello
Sabato 24 Settembre 2022, 07:10 - Ultimo agg. 13:03
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Piazza Meloni batte piazza Letta, ma di poco. Non c'è il pienone alla manifestazione di fine campagna elettorale del Pd, anche quella sempre a Piazza del Popolo dell'altroieri con la destra non era stracolma, e però in questa corsa al ribasso tra i due eventi quello della sinistra ne esce numericamente peggio. E un senso di malinconia e di sconfittismo sembra attraversare questa gente che applaude un po' Letta ma applaude ancora di più i governatori del Pd e soprattutto incorona - nel congresso già in corso tra i dem di cui questa piazza ne è forse la prima tappa - quella che andrà a succedergli, o lei o Bonaccini o magari Orlando, e cioè l'enfant prodige del nuovo progressismo tutto diritti e alternativismo: Elly Schlein. Ovazione per Elly, vicepresidente della Regione emiliana, molto sinistrese e portata al dialogo con i 5 stelle, e grida in slang da sotto il palco («Te voto 10 volte!» o «Te voglio segretariaaaaa») quando si descrive come la più perfetta anti-Meloni: «Sono una donna, amo un'altra donna, non sono madre, ma non sono meno donna per questo».

Letta li ha voluti tutti intorno a se i maggiorenti del partito, compresi i ministri, non tanto perché devono fargli da coro ma perché devono mettere la faccia sull'esito elettorale in modo che non si dica, se dovesse andare male, che loro non c'entrano.

In generale è un'atmosfera di svogliatezza, anche quando si canta Bella Ciao, che pervade la scena. Il discorso di Franceschini dura un attimo. Quelli degli altri non scatenano passioni divoranti.

Questa piazza dem è divisa in due e non solo da tutte le transenne che lo rimpiccioliscono e che devono dimostrare che il luogo è più affollato di quanto lo sia davvero. C'è una parte della piazza che crede nel miracolo - «I sondaggi sono falsi, ce la possiamo fare almeno a strappare un pareggio», dicono gli speranzosi o gli indefessi - e l'altra parte, forse maggioritaria, che vive lo sconforto del tracollo annunciato. C'è una tenera e intelligente coppia di pensionati che esemplifica questa frattura tra chi ci spera e chi dispera. Lui si chiama Rosario Alessandro, e dice: «L'imponderabilità che sempre esiste nelle competizioni politiche può scombinare tutto e produrre un mezzo pareggio». Lei, la moglie, si chiama Maria Baggesi e osserva: «L'alternanza è giusta. Credo che vincerà la destra, avrò il mal di pancia da domenica notte ma per fortuna nella nostra Italia c'è assoluta libertà di scelta: toccherà a loro governare e vediamo, senza fare tragedie, se saranno capaci di guidare questo Paese». Senza fare tragedie? E' anche un po' una mezza valle di lacrime questa piazza. C'è una sindrome apocalittica in molti dei presenti, che va dal «torna il fascismo proprio a 100 anni dalla Marcia su Roma» al «ci cacceranno dall'Europa». Ma un politico di somma esperienza come Ugo Sposetti, uno di quei comunisti all'antica che non si fa spaventare da niente, gira tra la folla invitando alla calma i catastrofisti: «Compagni, non bisogna mai avere paura della democrazia». 

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Intanto, il palco dem - ritinto di rosso - è lo stesso che era stato utilizzato a Pontida domenica scrosa e l'altroieri alla manifestazione della Meloni e compagnia. In questo senso, c'è continuità tra destra e sinistra. Ma per i lettiani la musica è un problema. No grazie, hanno risposto Ghali, Mahmood e Diodato all'invito a esibirsi per il Pd, mentre un tempo gli artisti facevano a gara a sponsorizzare la sinistra e a esserne sponsorizzati. E così, a tirare su il morale della piazza ci hanno pensato gli Spaghetti band nello sconcerto di chi era abituato a De Gregori: «Ma che siamo finiti in una sagra de' paese?». No, è il principale appuntamento politico di un partitone. Poi cala la sera, e vanno tutti via - passando sotto Porta del Popolo - non con gli «occhi della tigre» consigliati da Letta ma con gli occhi bassi.

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