La lezione di Copenaghen e i galli 'ncoppa alla monnezza

di Federico Monga
Lunedì 19 Novembre 2018, 08:00
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Venerdì scorso, mentre in Italia infuriava la polemica tra Salvini e Di Maio sulla necessità di costruire nuovi impianti per bruciare i rifiuti in Campania, da Copenaghen arrivava la notizia dell'ormai prossima inaugurazione di un nuovo termovalorizzatore di ultima generazione in un quartiere in pieno centro: emissioni di zolfo abbattute del 99,5 per cento, ossidi di azoto ridotti ad un decimo grazie a tecnologie in grado di ripulire i gas di scarico. Sopra il tetto saranno costruite (da una ditta italiana!) tre piste da sci dove i cittadini potranno passare il tempo libero. Copenaghen non è un caso isolato: in giro per il mondo, a discapito della vulgata, si stanno chiudendo i vecchi termovalorizzatori ma se ne stanno costruendo di nuovi: 300 in Cina e una decina in Gran Bretagna. La scelta della Danimarca ha però un valore politico e scientifico particolare. Il partito dei contrari dalla sua può sostenere, con una certa dose di buone ragioni, che la Cina non sarà certo un esempio nella filosofia green. La Danimarca invece è una nazione con una sensibilità per la tutela dell'ambiente in vetta a tutte le classifiche mondiali. Copenaghen, che detiene il record europeo di rifiuti pro capite prodotti, differenzia e brucia il 97% degli scarti urbani. Come in tutti i Paesi scandinavi l'economia ecosostenibile non è una bandiera da agitare (a parole) in programmi elettorali e contratti di governo ma una realtà diffusa e consolidata, dove tecnologia, sviluppo industriale e rispetto dell'ambiente vanno a braccetto ormai da decenni.

Sul Mattino, da tempo, abbiamo espresso chiaramente la nostra opinione sul modo di gestire, smaltire e sfruttare economicamente il ciclo dei rifiuti. Per non dilungarci nuovamente, ci limitiamo a dire che guardiamo con una certa invidia al modello Copenaghen. Non solo per il nuovo termovalorizzatore che produrrà anche energia pulita e abbasserà ancora una volta la bolletta del riscaldamento dei cittadini, ma in generale per la strategia e la concretezza attuata in materia i temi ambientali. 
Centinaia di chilometri più a Sud, invece le province di Napoli e Caserta e la Campania tutta da troppo tempo sono in attesa di una risposta efficace e definitiva, di un piano su larga scala in grado di mettere fine alla vergogna degli incendi a due passi dalle case e delle discariche (piccole o gradi, a cielo aperto o dentro capannoni non importa), veri e propri parcheggi a lungo termine di immondizia. Se si esclude l'inceneritore di Acerra, voluto dal governo Berlusconi nel 2004, da oltre venti anni, come ha documentato ieri su questo giornale l'inchiesta della nostra Daniela De Crescenzo, di misure in grado di incidere davvero sulla gestione del ciclo dei rifiuti non se ne trova traccia. I roghi restano all'ordine del giorno e anche nei depositi, i cosiddetti Stir, stracolmi di rifiuti si susseguono incendi sospetti. Solo il caro prezzo pagato dalle amministrazioni comunali (e da noi cittadini) per inviare sulle navi i rifiuti all'estero ha evitato dal 2010 il triste spettacolo dei cumuli in mezzo alle strade di Napoli ma non di Torre del Greco. In questi anni si sono susseguiti da Bassolino a Caldoro fino ai governi Letta e Renzi, decreti e piani, solo sulla carta, straordinari. Gli effetti sono sotto gli occhi di tutti. E ad ogni tornata elettorale, compresa l'ultima che ha visto il Movimento 5Stelle fare il pieno di voti tra Caserta e Napoli proprio con l'impegno di porre fine al disastro ambientale, si sono susseguiti puntuali gli annunci e i proclami acchiappavoti di fronte a cittadini giustamente esasperati e quindi inermi di fronte alle promesse. Promesse che poi non si voleva, né soprattutto, si poteva mantenere. 

Di quanto accaduto o meglio non accaduto in questi venti anni e della lezione danese possiamo solo augurarci che terrà conto questa mattina il governo quando si riunirà nella prefettura di Caserta per la firma del nuovo (l'ennesimo sotto altro nome?) protocollo sulla Terra dei Fuochi. Perdonate lo scetticismo ma al premier Giuseppe Conte, che ieri nel tweet della vigilia ha ripreso il titolo del Mattino «Ora basta», ai vicepremier duellanti e ai ministri al seguito chiediamo almeno un impegno: risparmiateci la parata e la promessa di soluzioni semplici a un dramma complesso che ha un peso, da tempo ormai insopportabile, sulla qualità della vita e sulla salute di almeno tre milioni di italiani. Per dirla in parole povere, alla danese, cercate di tenere i fatti e la scienza distinti dall'ideologia e dalla propaganda elettorale. È l'unica via per non fare (l'ennesima) figura dei galli 'ncoppa alla monnezza.
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