Il finto spauracchio del voto europeo

di Mauro Calise
Lunedì 1 Aprile 2019, 12:00
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Le elezioni sono un po' come le partite di pallone. Credi - almeno a un certo punto - di sapere come andranno a finire, e poi arriva un risultato a sorpresa. Sono state proprio le ultime europee a lanciare inopinatamente Renzi in un'orbita che sembrava incoronarlo come leader maximo. E almeno per un paio d'anni quell'onda sembrò lunga e inarrestabile. Poi arrivò il capitombolo. A conferma che quell'esito inatteso aveva finito col trarre molti in inganno. 

Rimettendo l'orologio anche più indietro di dove si trovava prima di quel fatidico appuntamento elettorale. Sarebbe ingenuo pensare che Salvini politico di lunghissimo corso non abbia appreso quella lezione. Il Capitano starà quindi guardando all'appuntamento di Maggio non per cogliere il pretesto di un ribaltone in casa nostra. Ma per capire quanta benzina c'è nel serbatoio dell'idea sovranista alla quale Salvini ha legato, a doppio mandato, il suo futuro.

Perché è questo l'interrogativo nella prospettiva della Lega. L'andamento molto controverso del family day a Verona ha confermato che, oltre una certa soglia, è difficile incrinare la cultura giuridica liberale che ha tenuto per cinquant'anni insieme l'Europa. E la sfida lanciata espressamente contro Bruxelles e l'elite tecnocratica che ha gestito nel bene e nel male le sorti della nostra economia si rivela, a lungo andare, molto ardua. Gli ultimi sondaggi ancora esposti a oscillazioni rilevanti danno l'asse Lega-Le Pen in netta crescita. Ma senza i numeri per mettere in discussione il predominio delle forze che nel Parlamento di Strasburgo hanno fatto, fin dagli esordi, il buono e il cattivo tempo. Ci saranno, molto probabilmente, importanti riequilibri tra di loro. Con la crescita della terza famiglia liberaldemocratica grazie all'innesto dei macronisti a danno dei ceppi storici, sia popolari che socialdemocratici. Ma questo non dovrebbe portare a uno sfaldamento dei vertici. L'effetto più probabile sarà una maggiore apertura e flessibilità sul fronte economico e finanziario, a scapito dell'austerità più ortodossa. Finendo col togliere polveri agli attacchi più radicali dei sovranisti.

Dopo avere brindato al probabile avanzamento della propria parte, quali carte strategiche resteranno in mano alla Lega e ai suoi alleati antieuropei? Passato il mitico appuntamento con la spallata, li aspettano cinque anni di ridotta all'opposizione. Complicata dall'esempio funesto che i britannici stanno dando del loro maldestro tentativo di mollare l'Unione. Se l'Inghilterra fino a ieri additata come esempio di coerenza e serietà istituzionale sta facendo questa figura, quale altro paese può pensare di riproporre quel percorso? Vi immaginate un governo a guida leghista che propone un referendum di Italexit e riesce a portarlo fino in fondo? Certo, gli inglesi stanno pagando un prezzo altissimo a quella loro scelta avventata. Ma a tutti gli altri europei stanno rendendo un enorme favore. Finendo col rafforzare la convinzione che, a dispetto delle tante crepe, l'edificio costruito a Bruxelles sia molto più duraturo del previsto.

Con questa realtà anche la Lega dovrà, prima o poi, fare i conti. E sarà questo, dopo il voto, il principale rovello di Salvini. Il vantaggio dell'esecutivo gialloverde è che non gli richiede una netta presa di posizione ideologica. Anzi. Grazie alla convivenza con un alleato per molti aspetti così diverso, il Capitano può privilegiare il vessillo del pragmatismo, ben piantato nel DNA della Lega. E glissare sulle questioni più spinose, come già ha fatto in varie occasioni. Diversamente, se dovesse provare il colpo grosso di nuove elezioni alla guida del centrodestra, dovrebbe fare una scelta di campo. O forzare sul fianco destro, rilanciando la linea sovranista. O convergere verso il centro. Per la prima opzione servirebbe una sponda europea che, al momento, non sembra affacciarsi all'orizzonte. Per la seconda, il Cavaliere dovrebbe farsi definitivamente da parte. E, a giudicare dagli ultimi passi, non pare che ne abbia molta voglia. Nell'incertezza, al Capitano conviene probabilmente la terza opzione. Restare dove si trova. Sempre che i partner glielo consentano.
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