Una simulazione, non un orientamento o, peggio ancora, una decisione del governo. Dai ministeri della Salute e del Sud arriva un opportuno chiarimento sui presunti criteri di spesa dei fondi Mes per la sanità italiana che, stando al riparto pubblicato in queste ore, penalizzerebbero ancora una volta il Mezzogiorno. Nessun piano è stato deciso e adottato da Palazzo Chigi, la simulazione al centro delle polemiche è frutto si fa sapere - di un calcolo basato sull'attuale suddivisione delle risorse tra le Regioni in base al Fondo sanitario nazionale. Con il Mes, sempre ammesso che l'Italia deciderà di usufruirne, si tratterà invece di risorse per investimenti e «nel nostro Paese vale la clausola minima del 34% per il Mezzogiorno, senza dimenticare che la Commissione europea in tutto l'impegno destinato ad affrontare gli effetti della pandemia ha sempre messo al centro l'esigenza della coesione territoriale», dice Peppe Provenzano, ministro del Sud e, appunto, della Coesione territoriale.
In altre parole, i fondi europei del Meccanismo di stabilità, che sono da giorni al centro di un complicato passaggio politico tra le forze di maggioranza, saranno comunque utilizzati per ridurre il divario, in questo caso in termini di personale, strutture e qualità delle prestazioni sanitarie. E, come si fa filtrare anche dal ministero della Salute, è nel Mezzogiorno che questa spesa dovrà avere un impatto molto forte considerati i ritardi accumulati dalla sanità pubblica di quest'area anche per criteri miopi se non volutamente punitivi decisi da anni in sede di ripartizione delle risorse.
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Il rischio che quel modello, ancorché duramente criticato dai governatori del Sud, possa valere anche per gli investimenti finanziati dall'Ue (a condizioni peraltro molto vantaggiose per i nostri delicatissimi conti pubblici), aveva fatto esplodere la protesta, a partire dal governatore campano Vincenzo De Luca. In realtà, si fa notare dal governo, l'obiettivo della politica di Coesione era e rimane quello di far crescere la quantità e la qualità dei servizi per i cittadini, a partire dalla sanità. Ed è nel Mezzogiorno che questo sforzo andrà concentrato. «Faccio notare che nella proposta politica lanciata dal segretario Pd Zingaretti sulla necessità per il Paese di spendere i fondi Mes, l'aumento della qualità delle prestazioni sanitarie viene considerato una leva fondamentale di riequilibro territoriale», ricorda Provenzano, anch'egli favorevole all'utilizzo delle risorse europee.
Quanto poi al rischio, paventato anche ieri nell'intervista al Mattino dal presidente dell'Anfia Paolo Scudieri che il 34% possa diventare una sorta di limite invalicabile per le spese destinate al Sud (una ripartizione del genere non basterebbe a ricucire il gap sulla sanità, ad esempio), il ministro è categorico. Quella soglia «è minima», fa sapere. E del resto è già stata superata in occasione delle risorse previste dal decreto Rilancio (3.250 milioni di euro) per rafforzare le terapie intensive negli ospedali, a partire dall'assunzione di nuovo personale e da una ben diversa attenzione alla sanità dei territori. Il riparto per il Mezzogiorno è salito quasi al 40% (si tratta di risorse in conto capitale) e non è un segnale trascurabile se si considera che senza l'emergenza Covid-19 e la legge sul 34% sarebbe stato un obiettivo impensabile.
L'allarme però resta e fa il paio con quello suscitato pochi mesi fa dalla diffusione di uno studio sulla presunta rinuncia alla clausola del 34% da parte del governo per fare cassa.