Fontana, la Lega e il fallimento del “rito ambrosiano” diventa un danno per tutto il Paese

Il fallimento del “rito ambrosiano” diventa un danno per tutto il Paese
Il fallimento del “rito ambrosiano” diventa un danno per tutto il Paese
di Mario Ajello
Mercoledì 29 Luglio 2020, 00:00 - Ultimo agg. 12:45
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Attilio Fontana dovrebbe dimettersi per dilettantismo, opacità, inaffidabilità. Il garantismo non c’entra niente nel suo caso. C’entra il fatto che è saltata una delle maggiori imposture dell’Italia politica degli ultimi decenni. Quella del «rito ambrosiano», così viene chiamato dai leghisti con malriposto orgoglio. Starebbe a significare la virtuosità lombarda rispetto alla limacciosità da suburra della politica romana e invece s’è rivelato un’infinita miscela non trasparente di interessi pubblici e privati. Non solo con Fontana ma anche prima di lui. A riprova che la questione è di sistema e non di singoli soggetti. E si tratta di una logica che rimanda più a certe logiche da feudalesimo che alla sbandierata modernità e innovazione della «parte trainante del Paese», come si dice lassù secondo retorica. 

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La moglie “fantasma”, gli incassi della mamma dentista, i camici del cognato dell’Attilio: ecco come il «rito ambrosiano» ha surclassato il «familismo amorale», che i sociologi sono abituati a torto ad attribuire al Mezzogiorno, anzi se n’è appropriato e lo applica con scientifica continuità. E viene da sorridere quando si rilegge un testo chiave del nordismo politico, intitolato appunto «Il rito ambrosiano». Autore, due anni fa per Rizzoli: Roberto Maroni. Tesi: «Le ragioni del primato di Milano contro l’immobile palude romana stanno nella concretezza, rapidità e efficienza lombarda contro le procedure liturgiche e lente del modello romano». Anche detto (copyright Bossi) «virus romano». 

Evidentemente - e non stiamo qui a parlare per esempio delle gesta dell’ex governatore Formigoni, nel 2019 condannato a 5 anni e dieci mesi per corruzione nell’inchiesta sui rimborsi indebiti per prestazioni sanitarie - nella vantata efficienza rientra anche quella variante del “primaiparenti” che è il cognatismo. E non serve ricordare le vecchie storie di quando Craxi impose, come sindaco di Milano, il cognato Paolo Pillitteri, noto più che altro come amante del cinema ma marito di Rosilde, la sorella del leader socialista. Basta soffermarsi sull’oggi del caso Fontana: favorisco (o ci provo) il fratello di mia moglie che con lei ha una società che lavora per la Regione che presiedo e li pago con i soldi che mi ha lasciato mamma targati Bahamas-Svizzera su cui gravano grandi sospetti. Ha detto il vero Fontana quando li ha scudati nel 2015? E sono davvero tutti della signora Maria Giovanna Brunella, dentista evidentemente a peso d’oro, quei 5,3 milioni oppure sono riconducibili in qualche modo magari alla lega o alle attività politiche dell’Attilio che si rifiuta di rispondere sulla loro origine?
 


C’è un così forte sentimento di famiglia nel «rito ambrosiano», al punto che The Family, un po’ come se si trattasse dei Sopranos era il titolo della cartellina in cui il vecchio tesoriere della Lega, Francesco Belsito, quello degli investimenti lumbard nei diamanti in Tanzania (sovranisti in politica ma esterofili in finanza: e chissà dove sono finiti i 49 milioni mancanti dalle casse del Carroccio), faceva il rendiconto dei soldi pubblici del partito che venivano messi a disposizione del Trota e degli altri figli di Bossi. Ed ecco i 77mila euro versati all’università Kriistal di Tirana per comprare loro un diploma di primo livello in gestione aziendale. I legami sono importanti, e infatti l’«ambrosianista» Maroni è anche quello che, dopo aver imbracciato la «ramazza» per ripulire il Carroccio dagli imbrogli dell’Umberto, ha preso la condanna di un anno per aver conferito da governatore un incarico nell’ente di ricerca regionale a una sua collaboratrice e i problemacci non sono ancora finiti. 
 
Ma guai ad adottare l’approccio morale o moralistico. Quello che spiega tutto è il discorso storico. Certo Nord, per egoismo e per miopia, ha creduto di fondare la propria supremazia su un assunto sbagliato: poter fare a meno del resto della nazione. Non si è voluto capire - e qui le colpe sono anche dei governi centrali dagli anni ‘80 in poi e guarda caso la crescita del Mezzogiorno ha cominciato ad arrestarsi dai ‘70, come sottolinea un ottimo meridionalista, Isaia Sales - che non si diventa un grande Paese industriale se si sviluppano solo parti di esso e ce n’è una che prende tutto senza dare niente.
Rinchiudendosi in una pretesa di diversità che si rivelata un’omologazione al peggio. E non c’è mito né rito che regga. 

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