G20 a Napoli, c'è il patto ma i Grandi restano divisi sul carbone

G20 a Napoli, c'è il patto ma i Grandi restano divisi sul carbone
di Gigi Di Fiore
Venerdì 23 Luglio 2021, 23:32 - Ultimo agg. 25 Luglio, 09:27
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«Sono contento per il risultato raggiunto, dopo due giorni e due notti di negoziazioni estenuanti». Il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, ha la camicia visibilmente bagnata di sudore e il volto stanco. Alle 19 è atteso alla firma, con gli altri rappresentanti ministeriali dei 20 Paesi più importanti della terra, del primo accordo che collega il clima alla produzione delle fonti energetiche necessarie all’industria e alla vita quotidiana. È la conclusione della due giorni del G20 sull’ambiente a Napoli, che con i suoi due documenti conclusivi farà da premessa all’appuntamento Onu a Glasgow dove a novembre si riuniranno ben 30mila delegati dell’intero pianeta. Nel documento della seconda giornata che conteneva 60 punti di confronto, in 58 casi i 20 Paesi hanno trovato intesa. Su due punti, non secondari, l’accordo non è stato possibile.

Cina, Russia, India, in parte Arabia Saudita hanno messo le mani avanti, consultando di continuo anche i loro Ministeri finanziari: va bene l’obiettivo, fissato a Parigi nel 2015, di ridurre l’innalzamento del riscaldamento globale a non oltre 1,5 gradi per il 2050, ma non va bene accelerarne i tempi nei prossimi dieci anni. Spiega il ministro Cingolani: «Si sono trovati non allineati tutti Paesi di elevata estensione e alta popolazione, che hanno difficoltà a invertire più rapidamente i loro piani energetici per arrivare alla piena decarbonizzazione».

Fare a meno del carbone fossile, puntare sulle energie alternative come acqua, vento e sole ha costi, presuppone investimenti, disincentivi per legge, piani che limitino gli investimenti non vincolati a utilizzare e produrre energia pulita.

Ma i Paesi «non allineati» hanno ottenuto che, nel documento finale, sui due punti dove non c’è l’accordo venissero comunque confermati gli obiettivi e le parole del documento di Parigi. Vorrebbero correre 15 Paesi, tra cui gli Stati Uniti del nuovo corso del presidente Biden con l’inviato John Kerry, che ha sposato in pieno le idee della presidenza italiana al G20 napoletano. Alle quattro del pomeriggio, quando l’intesa era delineata, l’inviato statunitense ha lasciato il summit per ripartire, affidandosi all’Italia. 

«È la prima volta che si collega in maniera stretta il problema dei mutamenti climatici alla produzione dell’energia da utilizzare nelle industrie, nei trasporti, nelle città, nelle case. E questo è stato un successo italiano, che ha voluto in maniera convinta questo collegamento» dice il ministro della Transizione ecologica. Significa che, se le emissioni di carbonio sono ridotte, si limitano i pericoli di innalzamento delle temperature che provocano alterazioni negli equilibri della natura, che scatenano sciagure come alluvioni, piogge improvvise, frane. Ma un piano di produzione energetica significa leggi, investimenti mirati, incentivi, agevolazioni. Nel documento sulla situazione nazionale del fabbisogno energetico nel 2020 diffuso dal Ministero, si parla di una diminuzione del 9,2 per cento di energia derivata dal petrolio. In Italia, l’energia viene fornita al 40 per cento da gas naturale, al 33 per cento dal petrolio e al 20 per cento da fonti rinnovabili. Dice il ministro: «La trasformazione implica investimenti, per risolvere i problemi sulla rinnovabilità delle fonti alternative. Sono problemi complessi, i due punti su cui non c’è stata intesa diventeranno temi di politica generale, affidata ai capi di governo del G20». Un appuntamento, ancora a presidenza italiana, che si terrà il 30 e il 31 ottobre prossimi a Roma. 

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Il ministero dovrà presentare al Parlamento una relazione con le conclusioni del G20 di Napoli. E spiega il ministro Cingolani: «Non c’è nessuno dei G20 che abbia messo in dubbio l’Accordo di Parigi. Ma 15 Paesi, fra i quali Usa, Europa, Giappone e Canada, hanno detto che vogliono fare di più». Sulla convinzione del legame clima-energia, l’intesa nella riunione del G20, che unisce i Paesi che rappresentano l’80 per cento del pil mondiale, il 60 per cento della popolazione e l’85 per cento dell’emissione di carbonio, è una novità. E il ministro sintetizza questo risultato politico: «Quattro mesi fa diversi Paesi non volevano neppure sentire parlare di questi argomenti, ora hanno firmato. C’è stata una maturazione culturale. Non a caso, i lavori si sono aperti con le condoglianze ai delegati di Germania e Olanda per le vittime delle alluvioni». 

Cingolani fa anche un accenno agli ostacoli che in Italia incontra l’accettazione della produzione di energia alternativa nello sviluppo economico: «C’è ancora troppa burocrazia nell’applicare provvedimenti su questi temi, che non sono ideologici. Tutti i Paesi del G20 sono convinti che vanno coinvolte partnership pubblico-privato negli investimenti e riconversione in energia verde. È quasi logico che in alcuni Paesi di estensione e popolazione enorme sia difficile avviare questi processi in tempi brevi». Su proposta italiana, è stata richiamata nell’intesa la responsabilizzazione delle amministrazioni comunali perché «le città sono particolarmente vulnerabili ai cambiamenti climatici». Mobilità, tecnologie digitali, riduzione delle emissioni di carbonio sono temi di amministrazione anche locale, attraverso il «patto globale dei sindaci», il cosiddetto C40 previsto nell’accordo di Parigi. Significa «incoraggiare azioni di governo per una collaborazione attiva e continua con le città».

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