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Claudio Descalzi: «Stop al gas russo dal 2024. Siamo gli unici connessi con il Nord Africa, possiamo rifornire l’Europa»

L’ad di Eni: «Sulla diversificazione l’Italia è partita prima della Germania, ma faccia sistema»

Claudio Descalzi: «Dal 2024 non servirà più il gas che arriva da Mosca»
Claudio Descalzi: «Dal 2024 non servirà più il gas che arriva da Mosca»
di Alberto Gentili, nostro inviato ad Algeri
Articolo riservato agli abbonati
Martedì 24 Gennaio 2023, 00:02 - Ultimo agg. : 12:03
5 Minuti di Lettura

«L’Europa per tanto tempo non si è accorta di non avere energia e un piano di sicurezza energetica. Insomma, era come una Ferrari senza benzina». Claudio Descalzi, amministratore delegato di Eni, si concede a qualche domanda nel palazzo El Mouradia mentre è in corso il bilaterale tra la premier Giorgia Meloni e il presidente algerino Abdelmadjid Tebboune. Come si fa a costruire un hub dell’energia europeo, se in Italia non si riesce a realizzare un rigassificatore? «Il sistema Paese può funzionare quando si coinvolgono tutte le visioni. Bisogna seminare, avere fiducia, pazienza e senso nazionale. In Francia sono divisi, ma quando parlano del loro Paese sono una cosa unica. In Italia serve continuità e una politica che con grande garbo, spiegando le cose con competenza, riesce a farle. Non bisogna scoraggiarsi». Il capo di Eni, che qui in Algeria è ormai di casa come dimostrerà poco più tardi la calda accoglienza di Tebboune, rimarca la differenza tra l’Europa e l’Italia: «La prima è obbligata per ottenere gas ad andare dalla Russia, dalla Norvegia, dal Qatar... Noi invece abbiamo sempre fatto per tempo investimenti nei Paesi produttori, trovato tanto metano e lavorato alla diversificazione. Insomma, eravamo e siamo molto più avanti. Questo ci ha facilitato: nell’inverno 2024-2025, se le cose continueranno ad andare nel verso giusto, ci affrancheremo dalle forniture russe».

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Descalzi racconta la strategia di Eni per raccogliere fornitori in Africa: «Questo continente non è come la Russia o la Norvegia o il Qatar, che hanno società di Stato per l’estrazione e poi vendono il gas. Qui bisogna stringere legami con i Paesi produttori, fare investimenti», aiutarli nell’estrazione. «Noi abbiamo cominciato la diversificazione geografica nel 2014 per essere pronti a fronteggiare eventuali difficoltà, non abbiamo aspettato la guerra in Ucraina. E puntiamo sulla diversificazione tecnologica e sulla sostenibilità ambientale. Che è importantissima». Non c’è il rischio di passare dalla padella russa, alla brace algerina? «Non ci sono né padelle, né braci. C’è un cibo che va cucinato e se brucia dipende da chi lo sta cucinando. Quindi bisogna diversificare: non c’è solo l’Algeria, ci sono la Libia, l’Egitto, l’Angola, il Congo, il Mozambico, gli Stati Uniti...». Lei è il cuoco? «C’è l’Eni, io non esisto. L’Eni è il cuoco, senza dubbio».
 

Non manca un paragone tra l’Italia e i partner europei, anzi con il più importante: «La Germania non si è mossa per tempo», osserva Descalzi, «invece in questa partita non puoi svegliarti all’ultimo minuto. Poi si è scoperto che Berlino aveva contratti molto vantaggiosi con Mosca, con sconti del 20-30%. Per questo i tedeschi erano contrari a imporre un tetto al prezzo del gas. Proprio una grande solidarietà europea...», ironizza amaro.


Ora la sfida di Giorgia Meloni è trasformare l’Italia nell’hub energetico dell’Europa. E Descalzi è convinto che si possa fare: «Il primo punto è garantire sicurezza energetica a costi bassi all’Italia. E il nostro Paese dal punto di vista geografico, strutturale, logistico è ben messo» per servire poi da hub europeo. «L’hub è fatto soprattutto di gas, bisogna averlo e portarlo in Italia. E noi in due anni, due anni e mezzo, ne avremo abbastanza per i nostri consumi nazionali. Ed è fatto di infrastrutture», spiega il capo di Eni. Come siamo messi su questo fronte? «Siamo gli unici ad avere una connessione con l’Algeria», grazie al gasdotto TransMed, «che ha una capacità di circa 36 miliardi di metricubi di gas, tuttora sottoutilizzata: ci sono ancora più di 10 miliardi che possono arrivare in Italia. Abbiamo poi una connessione con la Libia che vale adesso circa 12-14 miliardi di metricubi in termini di capacità, che può salire con adeguate aggiunte di compressione di parecchi miliardi. E ci sono l’Egitto, l’Angola, il Congo e il Mozambico che possono portarci il gas liquido e il Tap che porta 7-8 miliardi dall’Azerbaigian e potrà essere ampliato».
In sintesi: «Abbiamo cinque punti di connessione oltre a Tarvisio. In più abbiamo tre rigassificatori che presto spero diventino cinque, se non sette». Con un problema: «Esiste un collo di bottiglia tra la Campania, Molise, Abruzzo. Questo comporta che da Sud possono arrivare al massimo 126 milioni di metricubi al giorno». Per questo «Snam ha già lanciato un piano di espansione per superare questo collo di bottiglia».
Perciò, spiega il capo di Eni, affinché l’Italia possa rifornire gli altri Paesi europei e diventare un vero e proprio hub europeo, «è necessario sviluppare le connessioni tra il nostro Paese e il Nord, vale a dire: Germania, Austria, Svizzera, etc. Finora i corridoi sono stati Nord-Sud, mai Sud-Nord. Ma ce la possiamo fare con un programma di infrastrutture importanti. Il nostro obiettivo è avere una sovrabbondanza di offerta di gas per poter portare l’energia verso il Nord Europa».

I FLUSSI MIGRATORI

Descalzi non guarda però solo al metano. Osserva anche il “ritorno” socio-economico degli investimenti in Nord Africa: «Tutte le risorse messe a disposizione danno sviluppo, occupazione, tecnologia e dunque distendono anche una situazione che innesca le migrazioni» verso l’Europa. Inevitabile un paragone con Enrico Mattei, il fondatore di Eni al quale nel centro di Algeri è dedicato un giardino. Descalzi è il Mattei degli anni Duemila? «No, no. C’è Mattei, c’è l’Eni. Io sono solo il responsabile di questa azienda. Ce ne sono stati tanti prima, ne verranno altri. Non facciamo paragoni irriverenti».
Per quale ragione è qui ad Algeri? «Oggi si firmerà un accordo con Sonatrach per ridurre quelle che chiamiamo “fuggitive”. Vale a dire le fughe di metano. Queste emissioni, molto molto nocive, sono la parte peggiore sotto il profilo ambientale. Peggio del metano bruciato: producono miliardi di Co2. Dunque attraverso satelliti e sensori le individueremo, ripareremo le perdite e renderemo il gas recuperato disponibile per l’export algerino anche in nome dell’efficienza energetica e della riduzione delle emissioni di Co2». Un altro accordo sarà sull’idrogeno verde «con la possibilità di fare anche condotte dedicate al trasporto di idrogeno e alla trasmissione di elettricità utilizzando i pipe esistenti».

© RIPRODUZIONE RISERVATA
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