Sangiuliano: «Dante, Leopardi e Gramsci, rilanciamo la cultura italiana. Basta sacerdoti del politicamente corretto»

«Dante, Leopardi e Gramsci, rilanciamo la cultura italiana»
«Dante, Leopardi e Gramsci, rilanciamo la cultura italiana»
di Mario Ajello
Domenica 23 Ottobre 2022, 12:00 - Ultimo agg. 15:03
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Il democrat Dario Franceschini, suo predecessore, gli ha fatto gli auguri di buon lavoro. E Gennaro Sangiuliano, giornalista di razza, scrittore e saggista, appena passato dalla direzione del Tg2 alla guida del ministero del Collegio Romano, ossia cultura, patrimonio storico-artistico-museale, spettacolo, è già - il tipo questo è: iper-fattivo e appassionato - molto calato nel nuovo ruolo affidatogli da Giorgia Meloni

La persona giusta al posto giusto?
«La risposta la darà il tempo. Io intanto ce la metterò tutta. E ho un po’ di linee guida e di idee a cui tengo. Le cito la Canzone all’Italia di Giacomo Leopardi: O patria mia, vedo le mura e gli archi / E le colonne e i simulacri e l’erme / Torri degli avi nostri...». 

Perché sta recitando questi versi?
«Perché voglio cominciare proprio da Leopardi. E da Dante, da Benedetto Croce, da Giovanni Gentile, da Giuseppe Prezzolini. E direi anche da Antonio Gramsci».

Gramsci? Ma lei e il governo di cui fa parte non siete di destra?
«Può apparire sorprendente che citi il grande pensatore e politico comunista, ma nel saggio Letteratura e vita nazionale, di cui posseggo l’edizione Einaudi del 1954, egli pone il tema del ritorno a De Sanctis e si scaglia contro la filosofia della prassi, contro quelli che Gramsci stesso definisce i pappagalli che credono di possedere la verità. E io, come Gramsci, vedo in giro molti pappagalli». 

E chi sarebbero i nuovi pappagalli?
«Sono i sacerdoti del politicamente corretto e del mainstream». 

Ma da destra come si fa a combattere queste due tendenze effettivamente pervasive? 
«Promuovendo una cultura inclusiva, che tenga conto di tutte le pluralità della nostra identità. Perciò, vorrei cominciare la mia attività da ministro con due grandi mostre. Una su Umberto Boccioni e il futurismo. L’altra sul Rinascimento. Questi due momenti storici e culturali sono stati quelli che, ognuno a modo suo, hanno proiettato l’Italia nel mondo. Ma prima di queste grandi eventi internazionali, nei prossimi giorni andrò nella casa di Benedetto Croce, dove c’è la fondazione, a Napoli, che è la mia adorata città». 

Non è che voi, impegnati da decenni a criticare l’egemonia culturale della sinistra, volete creare un’egemonia di destra?
«Ma non sia mai! Io mi impegnerò per la promozione della cultura più larga e più libera possibile». 

Lei è un intellettuale, ma fare il ministro richiede un’attitudine pratica. Lei a quali problemi metterà subito testa e mano?
«Abbiamo un immenso patrimonio storico-artistico e culturale che molte volte è scarsamente fruibile a causa di problemi di mezzi di trasporto che mancano, di carenza di parcheggi, di vie di accesso difficili, di mancanza di personale, di conservazione carente o imperfetta, e via così. C’è da fare un grande lavoro di infrastrutturazione della cultura». 

Il Pnrr mette a disposizione risorse per questo. 
«Sì, le mette e in maniera molto cospicua. Saremo capaci di utilizzarle». 

Si dice spesso, e spesso non a torto, che le soprintendenze frenano i tentativi di innovazione. Come evitare l’impaludamento?
«Bisogna uscire da una mentalità solo conservativa dei beni culturali. E occorre creare con coraggio un nuovo immaginario italiano». 

Che cosa significa nuovo immaginario?
«Significa che la nostra cultura va raccontata anche con gli strumenti della modernità: cinema, serie televisive, social. Bisogna riformare il fondo unico per lo spettacolo, il Fus, e riformare la burocrazia relativa alla raccolta e all’uso dei finanziamenti pubblici». 

Come cambiare il rapporto tra i privati e il pubblico nel campo dei musei e in generale in quello culturale?
«Lo Stato è fondamentale quando si parla di cultura. I privati devono collaborare ma deve cambiare la mentalità delle istituzioni pubbliche e diventare una mentalità più attiva, più intraprendente. Guai ad avere paura dei privati e del mercato, guai a chiudersi a riccio e a diffidare di ogni intervento e aiuto e sostegno esterno. E aggiungo. L’ottimo Sabino Cassese, tempo fa, ha scritto a proposito della paura della firma dei burocrati. Questa paura ritarda, anche in campo culturale, iniziative e realizzazioni». 

Non teme che gli ambienti culturali, schierati a sinistra, la boicottino? 
«Mi auguro proprio di no. E credo che anche a destra ci siano delle validissime energie intellettuali. Qui non si tratta di limitare nessuno, ma non devono esistere figli di un Dio minore». 

Chi chiama a collaborare con lei?
«Proverò a coinvolgere Beatrice Venezi, la direttrice d’orchestra, ma anche Pietrangelo Buttafuoco e lo storico ed ex assessore regionale dem Gianni Oliva. Un grande sogno sarebbe poter collaborare con Claudio Magris».

Si ispirerà più a Bottai o a Ronchey? 
«Mi ispirerò a Giovanni Spadolini, che oltretutto arrivò al ministero dal giornalismo».

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