Il gioco pericoloso del partito a due teste

di Mauro Calise
Lunedì 24 Giugno 2019, 08:00
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L'anomalia dei Cinquestelle è semplice. Diversamente dai partiti personali che dominano da vent'anni in Italia, i grillini hanno due teste. Forza Italia e il Pd avevano nel bene e nel male un solo capo. E dalla sua sorte dipendevano. Dopo l'eclissi di Berlusconi e di Renzi, i rispettivi partiti sono implosi. La stessa sorte toccherebbe ai leghisti se Salvini capitombolasse. I grillini fanno eccezione. Sono un partito bifronte. All'inizio, Casaleggio senior in condominio con Grillo. Oggi, il figlio in coabitazione con Di Maio. Quanto può reggere un simile assetto? Già è complicato gestire il potere quando sei solo tu a comandare. Il duumvirato può funzionare solo a patto di andare d'amore e d'accordo. Cioè, quando c'è il vento in poppa. Ora che le vele del consenso pentastellato si stanno afflosciando, ecco che arrivano le prime crepe. E torna a porsi la questione su chi comanda davvero: il capo politico o quello telematico?

Le uscite critiche di Di Battista possono avere, infatti, un certo peso solo perché ostentatamente condivise col socio occulto del movimento, l'imprenditore che ha le chiavi del server.

La piattaforma su cui si trovano tutti i dati sensibili del partito che detiene fino a nuove elezioni la maggioranza relativa dei seggi nel parlamento italiano. Di Maio controlla i posti nel governo. Ma i post di tutti gli attivisti, i loro voti alle consultazioni online, i dossier di tutti gli eletti e candidati, sono gestiti da Rousseau. Con criteri di trasparenza che il garante della privacy ha apertamente criticato. Ma che i militanti pentastellati continuano supinamente a subire. Sia perché a parte sbattere la porta non avrebbero alternative. Sia perché fino a ieri su quei dati c'era il timbro del capo politico. E da domani?

L'unico chiarimento che conta, ai vertici dei Cinquestelle, non è tra Dibba e Gigino, ma tra il vicepremier e il padre padrone di Rousseau. Se si dovesse incrinare il loro accordo, allora sì che il governo ballerebbe. Ma, per il momento, sembra piuttosto di assistere a un gioco delle parti. Dopo il tracollo delle europee, i Cinquestelle sono apparsi spalle al muro. Costretti a rimanere al governo per via del vincolo dei due mandati che rende ineleggibili buona parte di deputati e senatori e dalla paura di incassare un'altra sonora batosta. Per ribellarsi ai diktat di Salvini, che alza il prezzo di giorno in giorno, devono provare un diversivo. Mandare avanti Dibba nella parte di guastatore, per cercare spaventare l'alleato con una faida interna che potrebbe fare saltare tutto in aria. Salvini, che non è di primo pelo, non si è scomposto e ha mangiato la foglia. Derubricando le uscite di Dibba ad episodio folcloristico.

A questo punto, si attende il rilancio. È improbabile come è sembrato dalla comparsata televisiva ieri da Lucia Annunziata che Di Battista rientri nei ranghi, e torni a occuparsi di suo figlio. I Cinquestelle hanno un bisogno vitale di mettere in campo un piano B. L'annuncio di Salvini di voler convocare i sindacati e le varie associazioni imprenditoriali non è solo una sfacciata invasione di campo nei confronti dell'altro vicepremier, Ministro dello Sviluppo e del Lavoro. È anche vista l'ampiezza delle ricadute politiche - l'esplicita rivendicazione del ruolo di Premier di fatto. Se Di Maio come per ruolo e dignità dovrebbe fare si mettesse apertamente di traverso, la crisi diventerebbe inevitabile. Ma se, invece, lo scontro frontale se lo dovesse intestare Di Battista, Salvini non potrebbe fare finta di non avere visto o sentito. Soprattutto se più o meno apertamente - ad accreditare le uscite del leader movimentista fosse Davide Casaleggio.

In pratica, per essere credibile, il gioco delle parti deve fare un salto di qualità. Diventando, inevitabilmente, anche un gioco pericoloso. Dopotutto, non sono pochi i grillini che vorrebbero ritornare con Dibba alle origini dure e pure. E, a sua volta, a Casaleggio non piace la prospettiva di ritrovarsi col cerino in mano e senza leader di ricambio se Salvini dovesse decidere di staccare la spina del governo. Quanto a Di Maio gli servirebbe molto la sponda del suo ex-gemello, se solo potesse essere certo che non nasconde un coltello. Quando si alzano molto i toni, e si tira con forza la corda, si sa dove e perché si è cominciato. Ma non si sa dove si va a finire.
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