Giorgia Meloni sarà "il presidente" (al maschile): la svolta linguistica della prima donna premier diventa un caso

Giorgia Meloni sarà "il presidente" (al maschile): la svolta linguistica della prima donna premier diventa un caso
Domenica 23 Ottobre 2022, 11:20 - Ultimo agg. 13:40
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«Il presidente del Consiglio Giorgia Meloni» e non «la presidente» o «la presidentessa». È la formula che la prima premier donna della storia italiana userà nelle comunicazioni ufficiali. Una formula al maschile, senza troppi se o ma. Secondo Claudio Marazzini, presidente dell'Accademia della Crusca, le due scelte sono entrambe accettabili: «I titoli al femminile sono legittimi sempre, e quindi è giusto dire la presidente (eviterei la presidentessa)», ma al tempo stesso «chi invece preferisce le forme tradizionali maschili ha comunque diritto di farlo, secondo l'opzione che fu a suo tempo di Giorgio Napolitano (che preferiva chiamare Laura Boldrini il presidente della Camera).

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D'altronde non è la prima volta che una donna che ricopre una certa posizione rifiuta il sostantivo femminile.  Direttora.

Assessora. Sindaca. E poi avvocata, magistrata, soldata. Se in passato alcune professioni erano una "eccezione" per le donne - quindi non era così importante declinare i sostantivi - oggi sono una consuetudine. Fondamentale allora adattare il genere: non più solo maschile, ma anche femminile. Da qui, le polemiche tra i "puristi" della lingua italiana, che preferirebbero adottare termini come ministro donna o ingegnere donna, al posto di "stravolgere" (in realtà si tratta di aggiungere una a) la lingua italiana, dimenticando l'esistenza del genere femminile e delle sue regole. Insomma, il genere femminile in italiano esiste, perché dunque non usarlo?

I rifiuti eccellenti

Da ricordare la polemica di Maria Elena Boschi, che in un'intervista accusò la parola ministra di essere addirittura sessista se non addirittura una caricatura. Oppure Beatrice Venezi, la più giovane donna a dirigere un’orchestra in Europa, che al Festival di Sanremo affermò di preferire essere definita “direttore d’orchestra” anziché direttrice, scatenando moltissime polemiche. Come se il termine al maschile evocasse maggiore professionalità e richiedesse un rispetto diverso, che spesso alle donne viene negato.

"La declinazione femminile la si accetta in certe mansioni come 'contadina', 'operaia' o 'commessa' e non la si accetta quando sale la scala sociale, pensando che il maschile sia più autorevole. Invece il femminile è bellissimo", ha affermato Laura Boldrini, che, da presidente della Camera, decise di lanciare la campagna sui mestieri declinati al femminile nei media. In campo è scesa anche l'Accademia della Crusca, partecipando al Progetto Genere e Linguaggio e le Linee Guida per l’uso del genere nel linguaggio amministrativo, insieme con la professoressa Cecilia Robustelli, docente di Linguistica all’Università di Modena e Reggio Emilia e massima esperta della materia. La grammatica italiana ha delle regole ben precise sull'argomento: tutte le forme maschili hanno un corrispondente femminile e il genere grammaticale deve riflettere il genere sessuale. Quindi va da sé che il femminile di maestro è maestra, ma esistono anche le forme avvocato/avvocatessa. Peccato che quest'ultimo, come riporta il testo pionieristico di Alma Sabatini Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana, abbia talvolta un uso dispregiativo, per cui sono tante le professioniste che preferiscono la definizione avvocata, comunque accettata dalla lingua italiana. Diverso il destino di una parola come dottoressa: le donne svolgono la professione medica da decenni, per cui il problema non si pone come nel caso ad esempio di una donna ingegnere. Alla fine, il problema non è tanto linguistico, ma nasconde tutti i pregiudizi che nascono non appena una donna conquista un ruolo di potere oppure inedito rispetto alle sue solite mansioni: la parola professoressa non fa innescare polemiche come la parola ministra o sindaca, è un dato di fatto. E non diamo la colpa alla grammatica italiana.

 

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