La legge, ad onta delle proclamazioni, non riguarda la possibilità di intercettare, che oggi aumenta a dismisura perché le tecniche in base alle quali si può penetrare nella sfera di riservatezza degli individui sono sempre più sofisticate ed invasive. Siamo un popolo di rassegnati. Poiché siamo o ci fanno credere che siamo un po' tutti delinquenti abituali o che, se non lo siamo di fatto, quanto meno abbiamo una innata predisposizione a delinquere, e poiché lo strumento di indagine principale (se non esclusivo) è l'uso incontrollato ed incontrollabile dell'auricolare, ci siamo abituati all'idea del controllo invasivo delle nostre vite private. E ciò ai limiti del paradosso.
Nell'atmosfera giustizialista nella quale siamo sommersi, molti pensano che questo controllo sia non solo necessario, ma addirittura doveroso. E di conseguenza, resta inascoltato (ove non sia apostrofato come delinquente o come colluso) chi si ostina a ritenere che il problema sta, come si è soliti dire, a monte, ossia nell'uso distorto dello strumento (delle intercettazioni), che non dovrebbe servire ad acquisire prove, ma a corroborare prove già acquisite e relative non a fenomeni, ma a specifici fatti criminosi.
La legge prossima ad entrare in vigore ha una finalità più limitata, ossia quella di aumentare la tutela della riservatezza. Lasciamo la parola al Procuratore Pignatone: «La difficoltà sta nel trovare un punto di equilibrio tra la tutela della riservatezza, le esigenze delle indagini (), il diritto di difesa (anche delle parti offese) e la libertà di espressione del pensiero e della informazione»; beni tutti costituzionalmente tutelati, tra cui è difficile, come sottolinea il Procuratore, stabilire una scala di priorità.
Il legislatore ha ritenuto di trovare il punto di equilibrio (quando leggo che il legislatore cerca punti di equilibrio, mi si drizzano le orecchie), stabilendo: 1) che solo quando debbano essere emanate misure cautelari, gli atti siano messi a disposizione delle difese (che però possono soltanto consultarli, ma non estrarne copia: il che è grave) e che, comunque, la loro pubblicazione è vietata (ma la violazione del divieto è sanzionata con una pena risibile); 2) che gli atti non devono contenere le notizie «non rilevanti»; 3) che non devono comparire «virgolettati» e che possono essere riprodotti solo i brani considerati «essenziali».
Il Procuratore ci spiega con semplicità e con chiarezza che questi meccanismi non servono allo scopo, possono addirittura peggiorare la situazione attuale e comunque comportano un dispendio di energie e di risorse incalcolabili, aggravando ulteriormente la già insopportabile durata dei nostri processi. Credo che possiamo fidarci della sua capacità e della sua esperienza.
Non basta. Se sono in discussione beni tutti costituzionalmente protetti e tutti di pari grado, è da chiedersi se il legislatore non operi una scelta in favore del diritto punitivo dello Stato, allorquando affida al solo Pm il potere-dovere di valutare la rilevanza della intercettazione e l'essenzialità della trascrizione, al fine di disporne l'acquisizione al fascicolo processuale, aggravando lo squilibrio tra le parti del processo penale che dovrebbe essere basato sul principio della parità.
Nè va dimenticato, infine, che le intercettazioni vanno, tutte e comunque, conservate in un archivio, la cui gestione sarà onerosa e carica di insidie. La riforma, insomma, aumenterà a dismisura i costi e i tempi dei processi penali, senza prevedibili vantaggi, perché sono da condividere il timore del Procuratore che «fuori dai processi continueremo a leggere molti contenuti di intercettazioni virgolettati o meno» e la Sua preoccupazione che «molti processi salteranno» per soluzioni che saranno ritenute in futuro non plausibili «o addirittura giudicate incostituzionali». Sono, come ho detto all'inizio, osservazioni di buon senso destinate, purtroppo, a cadere su di un terreno dove da tempo il buon senso ha smesso di attecchire.
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