Il centrodestra spiazza Di Maio: così Berlusconi è tornato in gioco

Il centrodestra spiazza Di Maio: così Berlusconi è tornato in gioco
di Alberto Gentili
Sabato 7 Aprile 2018, 07:30 - Ultimo agg. 09:52
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Luigi Di Maio non ha preso bene l'ultimo mossa di Matteo Salvini. «Tra i due il rapporto umano resta solido e la sintonia non manca», dicono nell'entourage del leader 5Stelle, «ma la scelta del capo leghista di tornare al Quirinale con l'intero centrodestra, Berlusconi compreso, è un fatto nuovo che ci spiazza. La partita si fa più dura, Salvini si rafforza...».

L'irritazione tra i pentastellati è palpabile. Soltanto il giorno prima, sul Colle, Di Maio aveva certificato che «non esiste un centrodestra, lo dimostra il fatto che non sono neppure venuti qui insieme». E cosa ti fa Salvini? All'ora di pranzo rilancia il centrodestra unito, propone a Silvio Berlusconi e a Giorgia Meloni di andare insieme al Quirinale, in occasione del secondo giro di consultazioni previsto per la fine della prossima settimana. E, tra vedere e non vedere, Salvini ricorda a Di Maio: «L'unico governo possibile è quello tra M5S e centrodestra». Forza Italia inclusa. E scatta, immediata, l'abbraccio di Berlusconi e della Meloni.
 
Non solo. Tra oggi e domani, Salvini andrà a far visita al Cavaliere ad Arcore. Un segno di attenzione verso l'anziano leader e un secondo messaggio di unità del centrodestra. Destinatario, ancora una volta, Di Maio cui il segretario lumbard torna a chiedere di ingoiare il rospo forzista. Questa volta con più probabilità di averla vinta. «Matteo ha capito che se va avanti da solo è debole in quanto vale il 17%, se tiene unita la coalizione invece parla a nome del 37%, Il gioco di M5S a dividerci è fallito», dice uno stretto collaboratore di Berlusconi.

Un vero e proprio schiaffo (tattico, i rapporti si diceva sono buoni) per il candidato premier pentastellato, che accusa il capo leghista di rinunciare al cambiamento scegliendo Berlusconi e di spingersi nell'angolo, dato che resta valido il veto grillino anti-Cavaliere.

Tant'è, che tra i grillini torna ad affacciarsi lo spettro di un governo di tregua o di tutti, quello auspicato sul Colle dal leader di Forza Italia: «Visto che Salvini non vuole il Pd in maggioranza e noi non possiamo allearci con Berlusconi, prima o poi dovrà gettare la spugna. E cosa si farà? Un governo di larghe intese? Un governo del Presidente? Se finisse così, non saremmo solo noi a restare fuori dai giochi, il capo della Lega dovrebbe di farsi da parte: il Pd non sosterrebbe mai un esecutivo con lui premier».

C'è però anche una seconda scuola di pensiero, un abbozzo di mediazione ultima: accettare l'infornata di Forza Italia in coalizione, magari con Berlusconi in una posizione defilata, e ottenere in cambio palazzo Chigi per Di Maio. Perché una cosa è certa: il Cavaliere, nonostante abbia annunciato urbi et orbi che non intende costruire una coalizione di governo con «i populisti e i pauperisti», è prontissimo a entrarci, soprattutto dopo aver ascoltato le rassicurazioni di Di Maio sulle sue aziende.

Al momento però il veto a Forza Italia resta. Così Di Maio, in viaggio ieri alla volta di Ivrea per la convention organizzata da Davide Casaleggio, continua a esplorare la pista per un'intesa con il Pd. E lo fa anche se il forno dem (per ora) resta sbarrato. Per due ragioni. La prima: avere più chance nella trattativa con Salvini. La seconda: durante il colloquio al Quirinale il leader 5Stelle ha compreso che la strada per palazzo Chigi sarebbe meno impervia se riuscisse a portare il Partito democratico nella sua maggioranza. Gli avvertimenti del capo dello Stato a rispettare la collocazione atlantica dell'Italia e a onorare i vincoli europei (parametri di bilancio inclusi), a giudizio di Di Maio sono infatti la prova che per approdare al governo, e garantire al Quirinale una linea programmatica europeista, sarebbe più adatta la compagnia del Pd. Da qui il corteggiamento, con qualche gaffe, portato avanti ieri dal capogruppo in Senato, Danilo Toninelli: «Per il bene del Paese il M5S chiede sinceramente al Pd di sedersi intorno a un tavolo».

Invito respinto immediatamente al mittente dai dem (per una volta uniti), anche se Matteo Renzi annota con soddisfazione che Di Maio sul Colle ha fatto cadere il veto contro di lui («non voglio spaccare il Pd, mi rivolgo a quel partito nella sua interezza»). Ed è convinto, l'ex segretario, che tra qualche giorno la «strategia dell'arrocco difensivo» potrebbe portare a qualche novità. Compreso un passo indietro di Di Maio, ipotesi che in grado di riportare il Pd in partita.

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