Il condono fiscale diventa mini: la Lega apre, oggi la tregua armata

Il condono fiscale diventa mini: la Lega apre, oggi la tregua armata
di Alberto Gentili
Sabato 20 Ottobre 2018, 07:30 - Ultimo agg. 15:46
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Se va tutto come prevede Luigi Di Maio e spera Giuseppe Conte, oggi all'ora di pranzo il governo sfornerà un mini condono. Ma il prezzo che chiede Matteo Salvini per accettare la cura dimagrante alla sanatoria fiscale è alto. È la bocciatura di diverse misure e richieste targate 5stelle: la Rc auto equa che tanto fa infuriare il Nord, il condono edilizio a Ischia, la cancellazione degli emendamenti e delle obiezioni pentastellate al decreto sicurezza e al disegno di legge sulla legittima difesa. Un approccio non ancora digerito, ieri sera, da Di Maio: «Non ci sarà alcun mercimonio su altri tavoli. Cancelleremo il condono tombale. Punto».
 
Il premier Conte, tornato nel tardo pomeriggio da Bruxelles e finito nel mirino di Salvini («lui leggeva il testo del decreto e Di Maio verbalizzava»), si trova così a tentare un'ultima, disperata mediazione. Ma non l'aiuta il fatto che ieri, dopo un iniziale tentativo di appeasement, Di Maio e Salvini se le siano date di santa ragione. E che la luna di miele, la chimica tra i due sia ormai svanita. Sia il capo pentastellato che il leader leghista - è previsto un faccia a faccia questa mattina prima del Consiglio dei ministri fissato per le 13 - però appaiono determinati a evitare la crisi. Il primo perché sa che se si va a elezioni non sarà lui il candidato premier del Movimento. Il secondo perché teme che la rissa alimenti la speculazione finanziaria, facendo schizzare lo spread oltre i livelli di guardia (ieri è salito a quota 335 per poi calare). E in fondo teme l'ipotesi (lontanissima) di un governo Pd-5Stelle: «Io favori al Pd non ne faccio e neppure ai mercati e all'Europa che puntano sulle nostre divisioni». Perciò: «Chi se ne frega di condoni e condonini. La Lega è nata per dare lavoro e ridurre le tasse, non per condonare».

Parole che fanno dire a Stefano Buffagni, mediatore per conto dei 5Stelle, che «la frattura verrà rimarginata», che «un'intesa si troverà». Ma la quadra, ieri notte, ancora non era stata trovata: «E' un'equazione irrisolvibile trovare una soluzione», dicevano in casa Lega. «Tutto si deciderà all'ultimo momento, la partita è difficilissima», confermava un grillino che segue la trattativa.

Di Maio, insieme a Buffagni e ad alcuni tecnici, ieri ha studiato a lungo il dossier con la speranza di andare a dama prima delle kermesse del Circo Massimo. L'ipotesi che avanza - ma che dovrà essere messa nero su bianco oggi - è di cambiare i connotati al contestato articolo 9 del decreto fiscale. Sì alla non punibilità per chi fa la dichiarazione integrativa (altrimenti nessuno aderirebbe alla sanatoria, temendo conseguente penali). Via, invece, il condono per i proventi da immobili e capitali detenuti all'estero (di «provenienza mafiosa», secondo i grillini). Inoltre verrebbe cancellato pure il perdono per riciclaggio e autoriciclaggio. Molto più difficile invece che passi un'altra richiesta dei 5Stelle: la riduzione del tetto della sanatoria (ora è a quota 100mila euro) per ogni singola imposta. Con due problemi. Il primo: in nottata la Lega faceva sapere che «non esiste ancora alcuna bozza di accordo». Il secondo: il gettito inevitabilmente si ridurrà e dunque il governo dovrà trovare altre coperture.

Nel faccia a faccia che precederà la riunione del governo, Di Maio è determinato a chiarire con Salvini anche il ruolo di Giancarlo Giorgetti. Il plenipotenziario leghista, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, è ormai visto dai grillini come un «nemico». Uno che «lavora nell'ombra» e «mette i bastoni tra le ruote». In più, secondo i pentastellati, sarebbe stato lui a non aver voluto convocare il pre-consiglio dei ministri che lunedì scorso avrebbe dovuto analizzare il testo del decreto. «Il risultato è che siamo arrivati al momento decisivo senza un articolato e solo con un foglietto volante», dicono i 5Stelle. Tant'è, che Di Maio ha posto la questione pur senza citare Giorgetti: «Noi avevamo chiesto di riunire il pre-consiglio. Chi lo doveva convocare non era Conte, ma un'altra persona. E mi fermo qui...». Per poi aggiungere: «Andranno rivisti i regolamenti del Consiglio dei ministri, ci devono essere procedure più chiare». Difficile però immaginare che Salvini possa depotenziare e tantomeno scaricare il suo braccio destro.

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