Periferie, riecco i fondi ma è beffa per i Comuni e Napoli resta al palo con Scampia

Periferie, riecco i fondi ma è beffa per i Comuni e Napoli resta al palo con Scampia
di Francesco Pacifico
Lunedì 12 Novembre 2018, 07:00 - Ultimo agg. 11:25
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Tagliati nel Milleproroghe nella scorsa estate, il governo - dopo la pressione dei sindaci - ha restituito ai Comuni gli 1,6 miliardi destinati ai bandi per riqualificare le periferie. Ma lo strumento scelto - un prestito non oneroso a Cassa depositi e prestiti - potrebbe tenere fuori gli enti più deboli e indebitati: cioè quelli in dissesto o predissesto, che non possono accedere al sistema del credito per avere le anticipazioni. Infatti in queste ore l'Anci e l'esecutivo stanno studiando un emendamento per superare il problema. Anche perché, vista la situazione finanziaria dei municipi italiani, il fenomeno potrebbe avere ripercussioni più ampie del dovuto.
 
Stando alla banca data creata dai tecnici dal ministero degli Interni e dagli analisti del dipartimento di economia dell'università Ca' Foscari di Venezia, nel Belpaese sono 401 i Comuni italiani che, tra il dicembre 2015 e il maggio 2017, hanno dichiarato il dissesto finanziario ex art. 246 del Tuel o che hanno fatto ricorso alla procedura di riequilibrio finanziario pluriennale di cui all'art. 243-bisTuel. Una situazione che diventa drammatica al Sud: in Calabria, per esempio e su un totale di 409 Comuni, si registrano 41 dissesti e 54 riequilibri, per un totale di 95 Amministrazioni, cioè quasi una su quattro. Se questa regione segna performance record non è migliore la situazione in Sicilia (86 enti in crisi con 29 dissesti e 57 riequilibri) o in Campania, dove 44 sindaci hanno dovuto dichiarare crack e altri 32 loro colleghi hanno avviato la procedura di riequilibrio.

Lo scorso agosto, nel passaggio del Milleproroghe in Senato, un emendamento della maggioranza gialloverde (ma votato, dicono per errore, anche da Pd e Liberi e uguali) aveva congelato gli 1,6 miliardi di euro disposti dai governi Renzi e Gentiloni per finanziare nel prossimo biennio progetti per rilanciare le periferie. Il piano prevedeva un bando, al quale parteciparono gli enti locali in massa, tanto che l'ex esecutivo ne scelse 120. I primi 24 sono stati finanziati nel 2017, gli altri 96 dovevano essere sbloccati quest'anno. Dopo quel voto è partita una durissima trattativa tra Palazzo Chigi e l'Anci, con i sindaci pronti anche a minacciare di bloccare i lavori della Conferenza Stato-città, paralizzando una parte importante dell'attività amministrativa del Paese.

Per sbloccare questi fondi - anche perché riguardano progetti di restyling importanti come l'ex teatro Adriano a Milano, il quartiere di Scampia a Napoli, l'ex Baraccamenti Cattolica a Taranto o il centro storico di Palermo - il governo ha deciso di affidarsi al prestito non oneroso per la riqualificazione erogato e garantito dalla Cassa depositi e prestiti, che sarà poi rimborsato entro il 2020 dallo Stato.

La procedura è abbastanza semplice: basta ottenere da Palazzo Chigi una convenzione o un atto regolante le modalità di utilizzo/erogazione del finanziamento statale, quindi presentare la richiesta in via Goito per farsi erogare i fondi. Peccato che per ottenere il via libera dal governo gli enti locali devono avere i conti in ordine. E, come detto, non tutti i partecipanti al bando ce li hanno.

In queste ore si sta scrivendo un emendamento per venire incontro agli enti più deboli, che dovrebbe essere inserito già nel passaggio nelle commissioni competenti. Ma se non bastasse, Chiara Saraceno, sulla Voce.info, ha segnalato altre ombre nel procedimento. In primo luogo la sociologa, per quanto riguarda i tempi di stanziamento soprattutto per il 2019, ha scoperto che «la disponibilità teorica (in base allo stanziamento originario) è di 530 milioni di euro, ma si dice che l'importo complessivo dei rimborsi tenendo conto degli attuali cronoprogrammi trasmessi dagli enti, non potrà superare entro il 2019 i 450 milioni di euro». Mancano all'appello circa 80 milioni.

Sempre la Saraceno, per quanto riguarda gli stanziamenti, ha anche aggiunto che «non vi sarà nessun anticipo del 20 per cento del totale pure previsto dalle convenzioni, che vengono così modificate unilateralmente».
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