Manovra, è scontro su deficit e condono: e Di Maio minaccia Tria

Manovra, è scontro su deficit e condono: e Di Maio minaccia Tria
di Andrea Bassi e Alberto Gentili
Martedì 18 Settembre 2018, 12:00 - Ultimo agg. 14:40
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I nodi cominciano a venire al pettine. E il problema questa volta, per Lega e 5Stelle, non è soltanto Giovanni Tria determinato a rispettare i vincoli di bilancio, tanto da scatenare una nuova violenta reazione di Luigi Di Maio: «Ora basta, se non ci fa fare il reddito di cittadinanza ce lo facciamo da soli...». Con l'approssimarsi della stesura della legge di stabilità scattano i veti reciproci. Il più grosso, il più insidioso, è quello del capo 5stelle contro quello che chiama «condono fiscale». E per rastrellare risorse rispunta l'ipotesi di cancellare il bonus da 80 euro ereditato da Renzi.

Nel vertice di tre ore andato in scena ieri sera a palazzo Chigi tra il premier Giuseppe Conte, i vice Di Maio e Matteo Salvini, i ministri Paolo Savona e Tria, il sottosegretario Giancarlo Giorgetti, Di Maio ha ribadito le perplessità illustrate in giornata. Irritato per la cena della sera prima tra Salvini e Silvio Berlusconi, con il presunto scambio tra garanzie tv e Marcello Foa presidente Rai, Di Maio di fronte al leader leghista che perorava la causa di una «pace fiscale più ampia possibile» per rastrellare risorse, è stato diretto: «Caro Matteo, capisco che servono fondi per realizzare il contratto di governo. E allora dico, cominciano a tagliare gli sprechi. Ma non posso neppure sentire parlare di una soglia massima fissata a un milione di euro. Così si favoriscono i grandi evasori. Questa cosa qui non la reggo, la mia gente è contraria. Noi non siamo disponibili a votare alcun condono». Non solo. Di Maio è anche andato giù duro di fronte alle obiezioni di Salvini per un reddito di cittadinanza che potrebbe lasciare la «gente sul divano a guardare la tv invece di lavorare». Salvini, raccontano, non l'ha presa bene. Ha tirato fuori la stroncatura delle pensioni di cittadinanza fatta dal tecnico leghista, Alberto Brambilla. E soprattutto ha ribadito: «La pace fiscale si farà». 
 
Conte ha provato a mettere pace. Giorgetti ha mediato. Ma non si è arrivati a una conclusione. Per evitare di far passare un messaggio di scontro, poco prima delle dieci di sera a vertice ancora in corso, Salvini ha diffuso una nota ufficiosa: «Bello e proficuo lavoro, per far crescere l'economia italiana (senza regali alla Renzi) rispettando gli impegni presi con tutti». Il riferimento «ai regali» di Renzi fa pensare che il governo sia tornato a esplorare l'ipotesi (smentita in luglio) di cancellare gli 80 euro (costo 9 miliardi). E una dichiarazione di Di Maio avvalora questa pista: «Le scelte devono essere coraggiose. Vanno tagliati tutti gli sprechi, così come devono essere recuperate quelle risorse che, ad oggi, vanno nella direzione sbagliata». Di certo, c'è che ancora una volta è andato in scena un violento braccio di ferro con Tria, sostenuto da Conte. Il ministro dell'Economia è rimasto immobile sulla trincea (di fatto già concordata con Bruxelles) dell'1,6-1,7% del rapporto deficit-Pil. E dunque lontano, anche grazie alla sponda del Quirinale, dalle pretese di Salvini e Di Maio che durante il vertice sono tornati a chiedere 8 miliardi ciascuno (portando il rapporto al 2,1-2,2%) per prepararsi alle elezioni europee di fine maggio.

Il più barricadero, ancora una volta, è stato Di Maio. Davanti al muro alzato da Tria è andato all'attacco. E in serata a ministri ed esponenti pentastellati riuniti in un ristorante romano, il leader grillino ha ripetuto più o meno ciò che aveva detto a palazzo Chigi: «Tria con i suoi no ci impedisce di realizzare il reddito di cittadinanza. Ma ora basta. Il governo del cambiamento ha senso solo se c'è il cambiamento. Tria deve capire che se non ci aiuta a fare il reddito ce lo faremo da soli...». Una quasi richiesta di dimissioni (la seconda in sette giorni) e un modo per far balenare l'ipotesi che sarà il Parlamento a inserire nel decreto che accompagnerà la legge di bilancio le misure stoppate dal ministro dell'Economia.

La partita è politica e contabile. Prima del voto i 5stelle vogliono alzare le pensioni minime a 780 euro e avviare entro aprile il reddito di cittadinanza. La Lega pretende di incassare sul fronte previdenziale quota cento, riducendo a 62 anni l'età per la pensione.

E intende varare la flat tax almeno per gli autonomi. Tria resiste. Tant'è che l'attenzione si è spostata sulle risorse, come conferma la nota di palazzo Chigi in cui si parla di vertice svolto in «totale armonia».

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