«Allora però rivediamo anche il reddito», è guerra di nervi tra Di Maio e Salvini

«Allora però rivediamo anche il reddito», è guerra di nervi tra Di Maio e Salvini
di ​Simone Canettieri
Venerdì 19 Ottobre 2018, 07:30
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«Se allora rivediamo il decreto fiscale, possiamo magari fare altrettanto con il reddito di cittadinanza, no?». Riccardo Molinari, capogruppo della Lega alla Camera, si accende il mezzo toscano e si lascia sfuggire questa battuta con i deputati che lo circondano nel cortile di Montecitorio. La guerra di nervi con il M5S passa anche da qui. Dal rimettere tutto in discussione, dall'irrigidirsi per vedere chi terrà di più la corda tesa. Dall'altro capo della fune c'è solo e soprattutto Luigi Di Maio. Pronto a tutto o quasi pur non di far passare «un condono» che c'è sempre stato, anche nella prima bozza del 13 ottobre, non solo in quella del 16. Solo che nessuno se ne sarebbe accorto, a partire da lui, segretario dell'ultimo Consiglio dei ministri vista l'assenza di Giancarlo Giorgetti.
 
In questa partita ha giocato un ruolo fondamentale Laura Castelli, viceministro all'Economia, seppur senza ancora la delega da parte di Giovanni Tria, che l'altra sera avrebbe in qualche modo allertato «Luigi» dell'allarme in corso. «È un problema politico, serve una sintesi politica», ripete la grillina di Torino. Da dentro il M5S ieri si lasciavano sfuggire una battuta: «Più che una crisi di governo, è la crisi della leadership di Luigi». I leghisti malignano che solo lui e i suoi stretti collaboratori non si erano accorti dell'articolo incriminato nel decreto fiscale. «Ci chiamano parlamentari pentastellati un po' stupiti in queste ore», rincarano dalla Lega. E mentre Di Maio va alla guerra ha più di una difficoltà a tenere le truppe unite intorno a sé.

Sergio Costa, generale dell'Esercito e ora ministro dell'Ambiente, non ha molto gradito per dire un eufemismo il condono edilizio per i terremotati di Ischia spuntato a sorpresa nel decreto Genova. Dove anche Danilo Toninelli, titolare delle Infrastrutture, ha dovuto fare i conti con la freddezza (altro eufemismo) del leader fatta filtrare pubblicamente dopo una serie di gaffe. Un discorso che si potrebbe estendere anche a Elisabetta Trenta - dipinta in lacrime dopo il vertice sui tagli alle spese militari con «Luigi» - e addirittura a Alfonso Bonafede, il Guardasigilli. Che si è trovato a rincorrere le dichiarazioni sempre di Di Maio sul voto del Csm, scavalcato nel merito della competenza. Particolari, certo, che in queste ore di unità a tutti i costi sembrano pesare. Sempre dai vertici del M5S ieri sera registravano «la compatezza» della Lega intorno al no di Salvini, pronto a disertare il Consiglio dei ministri di domani fissato dal premier Conte. Spetta a lui, ancora una volta, provare a trovare su una mediazione. Sapendo che comunque è espressione ed estensione del M5S. E quel «premier sono io» rimarcato due volte da Bruxelles sembrava più un monito per Salvini che per Di Maio. Ma la Lega è un monolite e il M5S con le sue mille sfaccettature meno. Si spiega anche così il doppio intervento di Roberto Fico sul condono, richiesto anche dal vicepremier M5S per ricompattare tutti. Ma proprio ora le differenze sono strutturali tra i due partiti. «A Luigi manca un Giorgetti: uomo di fiuto politico, esperienza e mediazione». Un braccio destro così fidato che parli per lui in sua assenza. O che porti avanti da pontiere le trattative per ricucire, ruolo affidato sulla carta al milanese Stefano Buffagni, sottosegretario agli Affari regionali, che con Salvini ha un rapporto così così. Di sicuro i due vicepremier si sono cercati al telefono per tutta la giornata. Ma senza tanta voglia di rispondersi a vicenda. Solo qualche messaggio scambiato tra un comizio elettorale (Matteo) e una riunione della comunicazione (Luigi). «Questa roba noi non la votiamo», dice il ritrovato asse Fico-Di Maio. E se per ripicca salta il reddito di cittadinanza? «Magari», ride Claudio Durigon, sottosegretario al Lavoro in quota Carroccio. E la tensione, nonostante il lavoro dei pochi sherpa in campo, continua. Dalla Lega sono convinti: «I grillini non vogliono la crisi: tanto Mattarella non ci manderebbe a votare subito e poi in caso di urne anticipate per Di Maio scatterebbe il vincolo del secondo mandato». Anche questo si pensa, in queste ore.
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