Infrangere il tabù Iva per rilanciare il Sud

di Enrico Del Colle
Mercoledì 13 Novembre 2019, 08:00
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Il caso ex-Ilva, o meglio, le numerose e dolorose crisi aziendali presenti sul nostro territorio sembrano rappresentare plasticamente la situazione economica e sociale non soltanto del Mezzogiorno ma, più in generale, dell'intero Paese: una politica industriale carente, una classe dirigente incerta e poco coesa nelle decisioni da assumere, un'evidente difficoltà a «dialogare» con gli investitori di altri Paesi, una burocrazia a dir poco asfissiante e certe «promesse» occupazionali (quasi) mai mantenute appaiono le ragioni principali del complicato e, per certi versi, drammatico momento che stiamo vivendo.

Certo, come sempre accade in un Paese già «fiaccato» dalle continue emergenze alle quali dover far fronte, qualunque «scossone» economico colpisce maggiormente la parte meno solida del Paese, ovvero il Sud. Pertanto, per comprendere come intervenire concretamente per «rianimare» il Mezzogiorno, occorre prendere in esame due piani di osservazione: il primo riferibile alla vita socioeconomica dell'intero Paese ed il secondo a quella del Meridione.

Analizziamo il primo partendo dagli ultimi avvenimenti: la Commissione Europea ha valutato al ribasso la stima sulla crescita (da 0,7% a 0,4%) - con il conseguente slittamento al 2,3% (dal 2,2%) del rapporto deficit/Pil - il debito pubblico continua ad aumentare (ci avviciniamo «pericolosamente» al 138% del Pil), la produzione industriale è calata dello 0,5% nel terzo trimestre rispetto al precedente (fonte Istat) e, nel frattempo, il Pil è aumentato dello 0,1% (sono sette trimestri consecutivi che non ci «spostiamo» da più o meno 0,1%), mentre nei Paesi Ue l'aumento è stato pari allo 0,3%. Sul piano occupazionale, poi, non si registrano segnali di miglioramento dato che, nel mese di settembre, il tasso di occupazione si conferma al 59,1% (rispetto ad agosto) e quello di disoccupazione sale al 9,9% (più 0,3%), valori comunque peggiori e ben lontani dalla media europea.

Insomma, i dati mostrano un Paese che, al di là di qualche timido «sussulto» positivo, permane in grave difficoltà e soprattutto non cresce. All'interno di questo intricato contesto e nel prendere in considerazione la situazione meridionale (secondo piano di riflessione), non si può non iniziare dal recente rapporto Svimez il quale, citandolo in estrema sintesi, ha registrato un'accentuazione del divario già esistente tra il Centro-Nord e il Sud in termini, ad esempio, di struttura e dinamica della popolazione, di produzione, di occupazione e di ricchezza delle famiglie. Ma vi sono altre caratteristiche, forse alcune poco note, ma sicuramente vicine alla quotidianità delle persone, che arricchiscono la conoscenza della non facile condizione sociale ed economica in cui versa il Mezzogiorno e che risentono in diversa misura delle difficoltà generali del Paese. Alcuni semplici dati (Istat) ne offrono un efficace riepilogo: si tratta di aspetti riguardanti le famiglie (come la povertà, il sistema educativo, il lavoro e il pendolarismo) e le imprese (come la ricerca e sviluppo e l'internazionalizzazione) i quali, se sono a livelli accettabili, per non dire fisiologici, possono rappresentare validi presupposti per intraprendere quei necessari percorsi verso la crescita e lo sviluppo; infatti, non è di secondaria importanza rilevare come più del 20% delle famiglie del Sud viva in condizione di povertà (il 7% circa nel Centro-Nord), poco meno del 20% dei giovani tra i 18 e 24 anni abbandoni prematuramente qualsiasi percorso di istruzione (intorno al 10% nel Centro-Nord) e gli occupati siano 20 punti percentuali in meno rispetto al Centro-Nord (45 contro 65); oltre a ciò, constatiamo come le famiglie meridionali abbiano un grado di soddisfazione nei riguardi dei servizi di trasporto ferroviario e urbano (regionale) inferiore al 50% (più del 60% altrove) e l'utilizzo dei mezzi pubblici di trasporto da parte dei lavoratori e degli studenti sia percentualmente diminuito negli ultimi anni nelle città del Sud (dal 20 al 18%), contrariamente a quanto accaduto nelle altre aree del Paese dove la quota è aumentata (dal 19 al 23%), a testimonianza, forse, di una difficoltà degli Enti pubblici di riferimento a rispondere positivamente alle esigenze dei cittadini meridionali.

Per quanto attiene al mondo delle imprese e alla loro capacità di stare al passo con i tempi, i dati mostrano ancora una volta il ritardo del Mezzogiorno: ad esempio, la quota di imprese (industria e servizi) che utilizza Internet è di circa il 50% nel Centro-Nord e poco più del 30% nel Sud, mentre quelle (con più di 10 addetti) che hanno introdotto negli ultimi anni elementi di innovazione di prodotto e/o di processo sono pari al 40% circa del rispettivo totale nel Centro-Nord e poco più del 25% nel Sud; inoltre, la capacità di penetrazione nei mercati internazionali vede il Mezzogiorno con un valore delle esportazioni rispetto al Pil pari a poco meno del 25%, lasciando alle altre due ripartizioni il restante 75% (che sale all'85% per le industrie manifatturiere). Dunque, due piani di osservazione e conseguentemente due piani di interventi: il primo a livello dell'intero Paese e il secondo per il Sud.

Come fare? Occorrono provvedimenti organici e coraggiosi come quello di intervenire seriamente e drasticamente sull'abbattimento dell'evasione fiscale e sulla non più rinviabile riduzione del debito pubblico (senza attingere però dai risparmi delle famiglie, come ogni tanto si sussurra di fare), spingendoci finanche a suggerire il riordino al più presto delle aliquote Iva perché in un Paese dove la gente perde annualmente 20 miliardi per il gioco d'azzardo e dove si spendono altrettanti miliardi per i cosmetici di vario tipo (fonte Istat), non deve rappresentare un tabù la rimodulazione della suddetta imposta.

Il Mezzogiorno, come i dati evidenziano, necessita di massicci investimenti nella formazione e nei settori produttivi più tecnologici il che equivale a rilanciare il Paese, non solo il Sud - oltre ad un ammodernamento delle infrastrutture già esistenti. La manovra economica, approdata in Parlamento, si sta muovendo secondo questi sentieri? A prima vista sembrerebbe di no, ma basta attendere qualche settimana per avere risposte certe.
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