La Lega vuole la poltrona di Toninelli, poi ok alla Tav

La Lega vuole la poltrona di Toninelli, poi ok alla Tav
di Francesco Lo Dico
Venerdì 17 Maggio 2019, 07:00 - Ultimo agg. 13:23
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Nei corridoi di Porta Pia si misurano i passi da qui alle Europee con una certa angoscia: c'è ormai la ragionevole certezza che alla fine di maggio per Danilo Toninelli scatterà la tagliola. Ma a unire alcuni dei dirigenti del ministero è la diffusa convinzione che il titolare grillino del Mit si sia messo in trappola da solo. Non è più un mistero per nessuno ormai, neppure in casa M5s: una volta certificato il probabile sorpasso alle urne, la Lega chiederà la testa di Toninelli. «Al suo posto raccontano al Mit- arriverà il viceministro Rixi se non sarà condannato. E se non sarà lui sarà un altro leghista, di fronte al totale fallimento di Danilo si è rassegnato anche Di Maio». Fonti interne raccontano difatti che il ministro sia sempre più isolato. Arroccato in una stoica resistenza contro i leghisti, ma anche contro i suoi. È del resto ormai molto tempo che Toninelli è sparito dai radar pubblici. Conseguenza di una serie di «gaffe, errate valutazioni, disorganizzazione e incompetenza», che gli hanno alienato anche le simpatie dei colleghi stellati. «Ormai non riceve più parlamentari del Movimento da mesi: senatori di peso come Patuanelli e Coltorti (l'alternativa su cui punterebbe il M5s al Mit), gli sono ormai ostili».
 
Lo strappo più profondo con i vertici del M5s, si sarebbe consumato al tempo della Tav. «Di Maio gli aveva chiesto raccontano al Mit - di produrre un dossier alternativo, e invece Danilo non ha provveduto. Non è un caso che poi Conte lo abbia commissariato». Ma nel mirino è finito anche l'analisi costi-benefici. «Un pasticcio: si voleva dimostrare che la Tav non serviva, e invece con la storia delle minori accise sul gasolio abbiamo fatto autogol: pensare che nell'analisi dei costi, è stata omesso persino l'impatto di Ires e Irap che le imprese avrebbero versato allo Stato pur di forzare la mano». «Sappiamo bene come andrà a finire svela una fonte interna il premier Conte sbloccherà l'opera dopo le Europee, dopo aver strappato condizioni di favore dall'Unione e da Macron». Profondo ma non decisivo lo strappo sulla Tav. A far scattare davvero la tagliola per Toninelli sarebbe stata infatti un'altra vicissitudine più recente: il via libera al passante di Bologna, che ha scatenato l'ira del plenipotenziario locale Massimo Bugani. «Non parliamo di uno qualsiasi, ma di un membro dell'associazione Rousseau. Inutile dire che è stato come fare lo sgambetto al patron Casaleggio jr.», raccontano al Mit. Dove si ricorda con amarezza anche il pasticcio dei seggiolini per i bebè. «L'obbligo doveva partire da quest'estate, ma il ministro si è scordato di fare il decreto».

La Tav, il Passante di Mezzo. Se da mesi Toninelli è sulla graticola è per via delle grandi opere ferme al palo. Per uscire dall'angolo il ministro ha rilanciato di recente lo «sblocca cantieri». Che però a Porta Pia viene liquidato come un grande bluff. «Leggetelo, non sbloccherà niente, eccetto la Lioni-Grottaminarda. È una scatola vuota, si scarica alle regioni la responsabilità di realizzare le infrastrutture, in modo da addebitare ai governatori la paralisi dei cantieri che continuerà a regnare sovrana».

Ma che cosa ne è delle analisi costi-benefici su decine e decine di grandi opere? La risposta che arriva dal Mit è raggelante: «Finora non si è mai lavorato a nessun dossier, a quanto ci risulta non esiste neppure un elenco delle opere da sbloccare». I motivi di tanto ritardo, andrebbero rintracciati nella «disorganizzazione e incompetenza» che avvolge il ministero. «Toninelli si è circondato di soli avvocati e non presiede mai le riunioni tecniche: ci manda i segretari dei suoi segretari». E c'è poi il caos dei capi dipartimento del ministero. «Una sciagura, chi è esperto di porti si occupa di strade, chi è esperto di strade di porti e così via: che ci voleva a sfruttare al meglio le competenze?», si mormora al Mit. «Il punto è che il ministro è molto intelligente, preparato in fatto di giurisprudenza, ma poco in confidenza con le cose tecniche e troppo narciso: si interessa troppo ai post e alla comunicazione sui social, e poco ai nodi del Paese. E ascolta solo gli yes-man». Intanto l'orologio ticchetta inesorabile. Al Mit si attende rassegnati il cambio della guardia.
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