Dai «vaffa» e «mai alleanze» ai patti con Lega, Pd e Draghi: l’Hellzapoppin dei 5Stelle

Dai «vaffa» e «mai alleanze» ai patti con Lega, Pd e Draghi: l’Hellzapoppin dei 5Stelle
di Antonio Menna
Martedì 9 Febbraio 2021, 00:00 - Ultimo agg. 11:51
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Da alleanze con nessuno ad alleanze con chiunque. Dal divieto del doppio mandato al mandato zero. Dal Pdmenoelle al Pd alleato naturale. Dallo psiconano alla coalizione Ursula. Dall’impeachment alla risposta responsabile all’appello di Mattarella. Dal mai più con Salvini al tutti dentro. Dal mai più con Renzi al si può fare. Dal partito di Bibbiano all’alleanza di centrosinistra anche nei Comuni. Dal referendum per uscire dall’euro al governo col capo della Banca centrale europea. C’è da farsi venire il mal di testa, a inseguire le giravolte del Movimento Cinquestelle. È un carillon con la molla inceppata, la giostra matta di un film dell’orrore. Mettendo in fila post, tweet, card degli ultimi anni, dal V-day del 2007 al voto sul governo Draghi, si assiste a una gara di tuffi con tripli carpiati e avvitamenti, che Cagnotto padre e figlia impallidirebbero. Siamo oltre la naturale dinamica della politica, che conduce chiunque a mutare posizioni, prospettive, direzioni. Alzi la mano chi non ha cambiato idea almeno una volta nella vita. Ma qui siamo su scherzi a parte. Un helzapoppin situazionista, una beffa. Hai scherzato, Beppe, vero? Ci stai prendendo tutti in giro? 

Tutto ebbe inizio con il Vaffa day.

Era il settembre del 2007. Settantanove piazze italiane in contemporanea e un palco principale allestito a piazza Maggiore a Bologna. Via i corrotti dal Parlamento! Da lì partì la cavalcata. Ma avvisi di garanzia, rinvii a giudizio e condanne sono arrivate anche in casa grillina, vedi Appendino a Torino, Raggi a Roma, l’ex sindaco di Livorno Nogarin. Ma in quel caso subito la girata garantista, il primo capitombolo. Il Movimento arriva in Parlamento. È il 2013, la dittatura dello streaming. Il povero Bersani, che uscì dalle elezioni con la maggioranza alla Camera e senza numeri al Senato, provò a convincerli in diretta Facebook. «Fate nascere un mio governo, poi ci giudicate strada facendo». La Lombardi rispose: «Sembra di essere a Ballarò». C’era anche Vito Crimi, che oggi esce dalle consultazioni con Mario Draghi. Tutto, adesso, avviene nelle segrete stanze. Si lasciano i telefonini fuori dalla porta. Riunioni a porte chiuse. Guai a chi parla. Vertici nascosti, bocche cucite. Poi si esce e si va in tv. Ricordate? C’era un tempo in cui i grillini non andavano in televisione. «Mai parlare coi giornalisti», diceva Casaleggio padre. Di Battista, all’epoca deputato, si faceva fotografare con un disegno raffigurante una piovra, con il simbolo del Pd. Fuori dal Parlamento si gridava onestà, poi si proponeva Milena Gabanelli e Gino Strada, e poi Rodotà, presidente della Repubblica. Era il tempo delle barricate, e ogni promessa sprigionava fuoco e fiamme. 

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Così sono arrivate le vittorie. E con esse, i guai. Elezioni del 2018, 5stelle primo partito. E ora che si fa? Cominciano le danze. Mai alleati con nessuno, tornano a gridare i 5stelle. «C’è lo 0% di possibilità che il Movimento vada al governo con Berlusconi e con l’ammucchiata di centrodestra», twitta Di Maio, un mese dopo il voto. Sono i giorni della richiesta di mettere in stato di accusa il presidente della Repubblica. «Occorre impeachment a Mattarella per evitare reazioni della popolazione. Poi si torna al voto», dice Di Maio. Due anni dopo, si pente: «Nella vita delle persone da grandi errori nascono grandi opportunità – scrive nell’aprile del 2020 -. Da quell’episodio ho ho imparato a credere sempre di più nel ruolo di Mattarella». Ma fosse solo questo. Il mai alleanze con nessuno diventa accordo di governo con la Lega. Era il 2017 quando Roberto Fico, allora solo deputato, diceva: «Alleanza con la Lega? Dio ci scampi». Ma l’alleanza si fa e con quei voti Fico diventa presidente della Camera. E qui saltano tutte le promesse: no Tav, no Tap, no Ilva, no Mose. Uno a uno tutti i dossier su cui i 5stelle avevano costruito mobilitazione sul fronte del no, vanno in soffitta. Mai più streaming, liste bloccate, si chiede referendum per uscire dall’euro, si strizza l’occhio ai gilet gialli, si saluta con gioia l’elezione di Trump, si fa un viaggio in Europa addirittura per contestare la doppia sede Strasburgo/Bruxelles. Insomma, il movimento si sposta a destra. Il Pd è ancora il grande nemico: è il partito di Bibbiano, quello che toglie i bimbi alle famiglie, con Renzi che è l’amico delle banche, l’ebetino, mentre rimane un residuo di avversione a Berlusconi, denominato cortesemente lo “psiconano” da Grillo in persona. 

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Poi Salvini, dal Papeete, col Mohito, abbandona i grillini. E qui si compie lo psicodramma numero due. Dal cilindro esce il grande accordo con il Pd. Ma come? Proprio con loro? Cancellare di corsa tutti i post, modificare tutti i tweet. Ma è una impresa impossibile. La memoria è fresca: il Pd meno elle, i Pdidioti, il partito di Bibbiano, quello che toglie i bimbi alle famiglie. «Vengo accusato di voler fare un’alleanza col Pd. Ma sono stato io ad attaccarlo più di tutti. Si tratta di un partito subdolo, che sta provando a cambiare pelle». Così parlò Di Maio, sette giorni prima di fare l’accordo proprio con il Pd. Nasce il governo giallorosso, dopo quello gialloverde. E poi arrivano le alleanze addirittura sui territori. Si va insieme nei Comuni. A Matera, accanto al simbolo a 5stelle, c’è quello del garofano rosso socialista! Poi è cronaca di questi giorni. Matteo Renzi lascia il governo Conte. «È inaffidabile, mai più con lui», tuonano i grillini, che si mettono addirittura alla ricerca del “responsabili”, dimenticando le battaglie sul vincolo di mandato, sui cambi di casacca. Ma dopo Conte, arriva nientemeno che Mario Draghi. E si torna tutti assieme. Non solo con Renzi ma anche con Salvini. E, udite udite, con Berlusconi. Del referendum «per uscire dalla gabbia della moneta unica» non si parla più. «Io voterei sì», disse Di Maio. Difficile ripeterlo di fronte oggi di fronte a Draghi. Tutti europeisti, zitti zitti, buoni buoni, fino alla prossima giravolta.  

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