I giallo-verdi del tanto rumore per nulla

di Mauro Calise
Lunedì 8 Luglio 2019, 08:00
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Mettetevi nei panni di un cittadino comune. Uno di quelli di una volta, prima che fake news e haters prendessero il sopravvento. E la cronaca, anche quella importante, si confondesse con gli improperi. Che cosa dovrebbe pensare, l'eventuale cittadino normale di come è andata a finire la disfida sovranisti-europeisti in cui l'Italia era sola contro tutti e rischiava la procedura d'infrazione? Sul bilancio, ce la siamo cavata, rimandati si fa per dire ad Ottobre. Che, per come stavano le cose, è quasi come essere promossi. Sulle nomine, abbiamo avuto il presidente del parlamento.

Non fa parte della maggioranza al governo, ma questo francamente nessuno se lo aspettava. E riguardo al posto in Commissione, non è detto che non riusciamo a spuntare un incarico di peso. Insomma, al netto della pantomima di tutti contro tutti al calor bianco, all'Italia non è andata male. E, per il cittadino comune, questo sarebbe un buon risultato.

Il problema di questa fase politica sta nel fatto che è diventato impossibile osservare e commentare gli eventi senza farsi strattonare violentemente da una parte, o dall'altra. E si è fatto sempre più difficile districare i dati reali dalla loro rappresentazione esacerbata, fuorviante, camuffata. Il guaio è che non si tratta soltanto di un momento di sbandamento. Al contrario, è la direttrice di marcia perseguita con determinazione dal governo, e dall'opposizione. Artefici, e al tempo stesso vittime, di un meccanismo di agenda setting mediatico che non ammette tregua, o alternativa.

Prendete il caso dei migranti. Basta una rapida scorsa ai numeri - pubblicati su tutti i giornali degli sbarchi in Italia che sono un quinto di quelli spagnoli e un settimo di quelli in Grecia, per capire che lo scontro perpetuo tra il capitano Salvini e i capitani delle navi coi disperati libici è solo un abile artefatto a uso e consumo della propaganda twitter. Una esibizione di muscoli da parte del Ministro degli Interni che si è attirata, come mosche al miele, la sfida di qualunque Ong che si trovi a portata di porto.

E cosa dire dell'altro grande tema che campeggia nella contrapposizione tra gialloverdi e centrosinistra? A leggere i resoconti dettagliati dei più autorevoli organi di stampa, le finanze sono al collasso e l'economia non riesce a ripartire. E non c'è dubbio che, se si guarda al divario di produttività accumulato nell'ultimo ventennio, l'Italia appare condannata al declino. Ma se l'analisi si concentra sulle performance e le previsioni a breve, le cifre cominciano a ballare. E il verdetto va su e giù, peggio che sulle montagne russe. La speculazione sullo spread, un giorno è vista come l'angelo sterminatore dei nostri vizi, e nel giro di una settimana si trasforma nella prova delle nostre virtù. È vero che l'economia non è mai stata una scienza esatta, ma possibile che la seconda potenza manifatturiera d'Europa non meriti un giudizio più equilibrato?

La risposta a questa domanda dipende, in ampia misura, dallo scontro interno alla Lega. Dove diventa sempre più visibile il contrasto tra due componenti, due anime molto diverse. Una è quella storica, legata al radicamento territoriale e amministrativo, che controlla ormai tutto il Nord, con la sola eccezione dell'Emilia. È un partito che ha visto crescere una leva di quadri abituati a gestire il potere locale, ma che fino all'avvento di Salvini aveva avuto difficoltà a decollare come forza politica nazionale. A questo partito interessa portare a casa l'autonomia, al più presto e nella versione più radicale possibile. Mentre farebbe volentieri a meno delle battaglie infuocate sui migranti, che vedrebbe senza batter ciglio sbarcare numerosi in clandestinità, visto il bisogno di lavoro in nero delle piccole e medie aziende del Nord.

Questo leghismo moderato ha sfondato, grazie a Salvini, al governo e nel paese. Ma è consapevole che questo surplus di voti appartengono tutti al Capitano. Che se li gestisce a modo suo, ed in totale autonomia. Occupando tutta la scena, mediatica e politica. Non sorprende che la vecchia guardia dai governatori ai veterani del parlamento come Giorgetti stiano cominciando a mordere un po' il freno. Non siamo ancora alla spaccatura aperta tra la nomenclatura e il leader che segnò il destino di Renzi. Ma è inevitabile che, quanto più cresce il dominio del vice-premier, tanto più aumentano le tensioni in un partito abituato a una gestione collegiale dei processi decisionali.

Di fronte a questa potenziale escalation, Salvini avrebbe tutto da guadagnare ad abbassare i toni. Abbandonando il palcoscenico troppo esposto del Mediterraneo, prima che ci scappi l'incidente che potrebbe costargli caro. E concentrandosi sui dossier che più premono ai maggiorenti del suo partito. In questo modo, agevolerebbe anche l'opa leghista sull'area moderata di destra che sta abbandonando Forza Italia. Insomma, ci sono molti presupposti perché Salvini metta più nutella e meno acrimonia nei suoi tweet. Ma, come ci ricorda Esopo, non è facile neanche per i leader andare contro la propria natura.
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