«Basta dispetti, serve unità». Mario Draghi lo aveva detto a Salvini e lo ripete a tutti, al Pd e a Forza Italia che ha incontrato ieri così come lo dirà ai partiti che fino a martedì continuerà a vedere in quella che è una vera e propria verifica (prelude a un rimpasto?) dentro il governo ormai soprannominato «del tutti contro tutti». Rivolto a Letta e alla delegazione dem il premier ha avvertito: «Meglio accordarsi prima sul Recovery Plan in modo da evitare problemi poi». Il punto è questo: in vista della presentazione a Bruxelles del piano di rinascita nazionale entro il 30 aprile, ogni partito vuole dire la sua e dimostrare di essere più forte dell’alleato ormai diventato rivale fino al limite dell’insopportabilità.
Tra Letta e Salvini è guerra aperta, per non dire del tiro al piccione leghista contro Speranza che si sente «accerchiato» e chiede aiuti che adesso trova ma poi gli verranno probabilmente meno.
La scena si è svolta così. Giorgetti: «Apriamo la sera i ristoranti anche quelli che non hanno spazi all’aperto, non si può discriminare a danno di qualcuno e ormai al chiuso se ben distanziati si può mangiare tranquillamente». Speranza stava per scattare come una furia, smentendo il suo tradizionale aplomb, spalleggiato dal grillino Patuanelli e anche da Franceschini. Ma l’arbitro Draghi, in questo, non ha dato del tutto ragione a Giorgetti nel suo mantra «non si possono tenere prigionieri gli italiani ad oltranza» e «serve dare ossigeno alle attività lavorative» (con la renziana Bonetti in questo d’accordo con lui). Quindi? Speranza voleva rinviare le aperture a maggio e, ormai politicamente indebolito, ha dovuto cedere di cinque giorni, per cui si riaprirà il 26 aprile e riapriranno anche la sera i ristoranti purché in zona gialla e solo all’aperto. Mezza sconfitta di Speranza, che però recupera in parte ottenendo un non senso: ristoranti aperti la sera ma resterà il coprifuoco alle 22, il che non aiuterà granché i guadagni dei ristoratori.
Il fondato timore di Draghi è che la voglia dei partiti di darsi le botte finisca per travolgere anche la preparazione del Recovery Plan su cui c’è ormai fretta di completarlo. Perciò sta sentendo tutti. Tajani, alla guida della delegazione di Forza Italia, ha garantito che il suo partito non avrà atteggiamenti divisivi e intanto ha piantato un paletto: «Nessuno chieda una patrimoniale». Poi a Palazzo Chigi è arrivato Enrico Letta a nome del Pd (con le due capogruppo Serracchiani e Malpezzi) e con alle spalle un partito inquieto e in lotta quotidiana con Salvini su tutto. La delegazione dem ha insistito su più soldi per gli asili nido nel Recovery (dagli attuali 3,2 miliardi di euro ad almeno 5) e su più investimenti per l’edilizia scolastica e contro l’abbandono scolastico. E poi gli altri partner di governo avanzeranno le loro proposte. Non sarà affatto facile conciliarle e la luna di miele nella maggioranza, se mai c’è stata, è un ricordo lontano.