Governo, il Pd stufo vuole il rimpasto, Conte frena: può finir male

Governo, il Pd stufo vuole il rimpasto, Conte frena: può finir male
Governo, il Pd stufo vuole il rimpasto, Conte frena: può finir male
di Marco Conti
Mercoledì 5 Agosto 2020, 00:02 - Ultimo agg. 11:17
4 Minuti di Lettura

Per sapere quanto sia pericoloso il “generale agosto” per il governo non serve interpellare Matteo Salvini. Basta osservare con quanta cautela il premier Giuseppe Conte sta “gestendo” le minacciate dimissioni del ministro Vincenzo Spadafora che ha visto impallinata la sua riforma dello sport dai suoi stessi colleghi di partito. Pardon, di Movimento.

Salvini accelera sul rimpasto in Lombardia, via Gallera e un piano di grandi opere
Bonafede, M5S e Pd: rischio crisi. Iv frena: ma tavolo sulla giustizia

LA MISSION
Trattare Spadafora come Lorenzo Fioramonti, le cui dimissioni vennero repentinamente accettate dal premier malgrado l’interessato si aspettasse ben altro, rischia di aprire quella slavina che nel Pd ora qualcuno alimenta. Conte, da quando è iniziata a circolare la suggestione di un suo partito, si muove con estrema cautela, ma l’insofferenza dei dem per l’attuale esecutivo è sempre più evidente. Il segretario del Pd Nicola Zingaretti ha ieri rilanciato con forza l’esigenza di approvare almeno in un ramo del Parlamento la legge elettorale prima del referendum del 20 settembre.
 

Rimpasto


Calendario alla mano la mission è complicata visto che le Camere questa settimana chiudono i battenti per riaprire il 24 agosto e chiudere nuovamente il 13 settembre per la pausa elettorale dovuta alla campagna elettorale per il referendum e le elezioni regionali. In mezzo la Camera ha l’obbligo di convertire il “decreto semplificazioni”, poi ha il “decreto agosto” attualmente in gestazione e la legge sull’omofobia. Ovviamente al Nazareno sono consapevoli del timing, ed è per questo che l’ultimatum di Zingaretti suona come un avviso rivolto non tanto a M5S e Iv, quanto allo stesso presidente del Consiglio che quasi un anno fa celebrò la sua seconda ascesa a palazzo Chigi proprio sulla base di un accordo che prevedeva anche il “sì” del Pd al taglio dei parlamentari e il contemporaneo varo di una mini riforma costituzionale e di una nuova legge elettorale.

Di questa intesa si sono perse le tracce, se non per il voto decisivo che i dem hanno dato alla riforma costituzionale dopo una serie di voti contrari. Uno stallo che spinge molti parlamentari verso il “no” al referendum, come dimostrano le dichiarazioni di Gori, Nannicini e la minaccia di Orfini.


Ed è qui che si colloca la frattura del ministro Spadafora che - anche per i suoi trascorsi nella Margherita di Francesco Rutelli - di quell’intesa tra 5S e Pd un anno fa fu attivo artefice ospitando a casa sua gli incontri tra Di Maio e Zingaretti. Un “pontiere” di cui è difficile sbarazzarsi in questo momento, soprattutto se Alessandro Di Battista conferma di non amare il ministro e una parte del Movimento difende la riforma dello sport che ha attivamente realizzato insieme all’allora ministro Giancarlo Giorgetti. Ma per i dem, dopo quasi un anno di governo, la misura è colma e alimentata anche dalla difficoltà a rivedere i decreti sicurezza di Salvini. E’ per questo che per i dem diventa sempre più complicato sostenere quella «macelleria costituzionale», come la definisce +Europa con Benedetto Della Vedova, fatta con il taglio lineare di un po’ di parlamentari. Obiettivo dei dem è quello di costringere Conte a rivedere il patto di governo e magari metter mano alla squadra facendo posto al segretario del Pd che però, per entrare al governo - magari al posto del ministro dell’Interno Luciana Lamorgese - dovrebbe trovare qualcuno disposto alle dimissioni per evitare una vera e propria crisi di governo che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella vede come fumo negli occhi.

Ma se le dimissioni di Spadafora potrebbero diventare occasione per un rimpasto, il primo a subirne i contraccolpi sarebbe proprio Conte che a fatica riesce a destreggiarsi in quel magma di parlamentari grillini che iniziano ad interrogarsi con sempre maggiore insistenza sul proprio futuro cercando di «rimanere coerenti con il progetto iniziale» avviato con il governo “gialloverde”. Compresi i rischi insiti in una crisi di governo che potrebbero ridimensionare la pattuglia ministeriale di Iv, Matteo Renzi ieri sera al Tg1 ha aperto senza credere troppo alla possibilità di trovare rapidamente un’intesa. Anche per Ettore Rosato «le urgenze sono altre» e guardano alle misure che il governo dovrà assumere in vista di settembre. Tra queste non c’è però solo il Recovery plan, ma anche il Mes che i grillini non vogliono e sul quale potrebbe andare ad infrangersi anche quella svolta europeista dell’esecutivo che sinora è l’unico - seppur importante - fiore all’occhiello che i dem ora sfoggiano quando devono spiegare perché sono alleati con i 5S.
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA