Perché la via delle grandi intese è già tracciata

di Bruno Vespa
Sabato 17 Febbraio 2018, 09:20
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Sarà Marco Minniti o Matteo Salvini il ministro dell'Interno del prossimo governo? Se il centrodestra conquistasse la maggioranza assoluta cosa possibile, ma allo stato ancora improbabile e se Forza Italia scegliesse il presidente del Consiglio, sarebbe difficile al leader della Lega rifiutare l'incarico ideale per gestire i temi centrali della sua campagna elettorale: immigrazione e sicurezza. Ma la novità delle ultime ore è un'altra. Giovedì sera a «Porta a porta» Marco Minniti ha detto che accetterebbe senza esitazione di mantenere il suo ruolo in un governo di unità nazionale in cui fosse ovviamente presente il Pd. Renzi non ha gradito, visto che la linea in campagna elettorale è di escludere qualunque collaborazione con chiunque. Ma Minniti è persona troppo prudente, esperta ed avveduta per lasciarsi scappare un'affermazione così impegnativa. Rivelando perciò che «il re è nudo» ha sigillato l'ipotesi che molti temono o sperano e cioè che la impossibilità di formare un governo di destra o di sinistra dopo il 4 marzo induca il presidente della Repubblica a cercare una intesa perfino più larga addirittura dello stesso patto tra Forza Italia e Pd.

Ipotesi per niente esclusa in privato dallo stesso Renzi. Sia lui che Berlusconi che Salvini che Meloni dicono in questi giorni che la soluzione obbligata sarebbe un immediato ritorno alle urne. Ma la tradizione parlamentare esclude che senatori e deputati appena eletti vogliano impegnarsi in una nuova campagna elettorale che ne decimerebbe le file, anche per l'assalto alle liste degli esclusi e dei traditi del 4 marzo. Una maggioranza trasversale potrebbe già eleggere i presidenti delle Camere e non è detto che questa non possa essere la madrina di un nuovo governo. In ogni caso, le «elezioni subito» non potrebbero celebrarsi realisticamente prima di ottobre. 

Ai fini di una maggioranza trasversale non va sottovalutato il movimentismo di Luigi Di Maio. I sondaggi continuano a blindare il Movimento 5 Stelle tra il 27 e il 28 per cento. La storia dei mancati rimborsi, pessima per l'immagine del partito, non sembra averne scalfito il consenso elettorale. Il voto al M5S è frutto della sfiducia in tutti gli altri partiti, più che della fiducia nei suoi dirigenti. E a chi lamenta il mancato versamento di un milione e mezzo nel fondo per le piccole imprese, è facile a Di Maio rispondere che altri 23 milioni sono stati donati. Questi elettori sono del tutto disinteressati alle capacità di governo del Movimento: non guardano alla casa da costruire, ma a quella da abbattere. Dunque. 

L'assenza di una coalizione condanna il partito di Grillo a prendere un numero di seggi dimezzato rispetto al numero dei voti. È perciò molto improbabile che Di Maio possa formare un nuovo governo. Al tempo stesso il M5S non può permettersi un'altra traversata nel deserto di cinque anni. Ecco dunque la disponibilità a collaborare. Con chi e come si saprà a suo tempo. È interessante per ora contare il numero degli «impuri» che espulsi dal Movimento saranno comunque eletti. Questo gruppo potrebbe arrivare a non meno di dieci persone e potrebbe integrare con voti decisivi un governo di grande coalizione. Essi faranno di tutto per impedire lo scioglimento delle Camere che segnerebbe quasi certamente la fine della loro vita politica.
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