L'incubo recessione fa tremare imprese, trasporti e atenei

L'incubo recessione fa tremare imprese, trasporti e atenei
di Francesco Pacifico
Lunedì 11 Marzo 2019, 07:30 - Ultimo agg. 13:09
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Le prime ad alzare la voce - su spinta della Campania - sono state le Regioni, che potrebbero perdere 300 milioni di euro. Soldi destinati al trasporto pubblico locale, senza i quali si cancelleranno non poche corse di treni e autobus. Ma dietro le quinte si fanno sentire i ministeri di spesa, le imprese, le università, le forze dell'Ordine, il terzo settore o il mondo della ricerca, tutti uniti dal timore di ritrovarsi nel corso dell'anno con 2 miliardi di euro di trasferimenti in meno per gli investimenti e la spesa corrente. Perché accanto alle voci di una manovra bis - smentita dal premier Giuseppe Conte, ma non esclusa dal vicepremier Matteo Salvini - c'è un'altra spada di Damocle sui conti pubblici, cioè i due miliardi di spesa pubblica che il governo in manovra e su richiesta dell'Europa ha già congelato fino a giugno e che da luglio potrebbero diventare tagli lineari se il Belpaese non riuscirà a tenere il tendenziale del deficit/Pil verso l'obiettivo di fine anno concordato con Bruxelles, cioè il 2,04 per cento.
 
A uscire allo scoperto, come detto, sono state le Regioni, che in base a questa tagliola rischiano di vedersi congelati 300 milioni di euro dei 500 che il governo deve girare loro come ultima tranche per il finanziamento al trasporto pubblico locale. La sola Campania rischia di perdere 27 milioni di euro, il Lazio 50 e la Lombardia 60. Giovedì scorso, proprio su spinta del vicepresidente di Palazzo Santa Lucia, e coordinatore degli assessori ai Trasporti, Fulvio Bonavitacola, la Conferenza delle Regioni ha messo nero su bianco in un parere sulle future gare del Tpl che l'esecutivo «deve garantire questi fondi», senza i quali sarà difficile rispettare le convenzioni con le aziende di trasporto. «Noi abbiamo chiesto - spiega Bonavitacola - il rispetto degli impegni: già il fondo nazionale per il settore riesce a stento a coprire le spese del comparto. Senza questi fondi dovremo ridurre in modo lineare la pianificazione del servizio, cioè le corse con non poche ricadute sull'utenza».

Guardando la lista dei tagli di spesa il più colpito è il sistema delle imprese: se non migliorerà la condizione economica del Paese, le aziende si vedranno tagliare in un colpo solo i 481 milioni di incentivi garantiti dal Mef per la competitività e i 150 milioni destinati alla responsabilità sociale d'impresa, aperti anche alle cooperative ed erogati dal ministero dello Sviluppo.

Sempre il ministero di via XX settembre dovrebbe ridurre di 450 milioni il fondo di riserva per le spese impreviste, quello a cui si attinge per esempio quando avvengono le calamità naturali, di 150 milioni il monte risorse per gli altri dicasteri, di 60 milioni le risorse per le attività di accertamento contro il sommerso e di 30 milioni le munizioni per il costo al debito pubblico. Il ministero della Difesa dovrebbe rinunciare ad altri 150 milioni destinati alla «pianificazione delle forze armate e approvvigionamenti militari». Nell'anno d'avvio del reddito di cittadinanza, il dicastero del Lavoro potrebbe trovarsi con 40 milioni in meno per le politiche sociali e di inclusione attiva, stesso taglio alla Farnesina per la cooperazione. Colpito anche il mondo dell'università (70 milioni in meno per i corsi post laurea) e quello della ricerca (30 milioni in meno per quella di base e quella applicata e destinata a prodotti più innovativi). Sforzi minori saranno chiesti anche al ministero delle Politiche agricole (5 milioni di euro), al Viminale (quasi 4 milioni di euro in meno) e al ministero della Giustizia (poco meno di tre milioni).

Lo spettro della tagliola prende forma ogni giorno di più dopo che l'Istat, per il 2018, ha sancito il ritorno del Belpaese in recessione tecnica e il crollo della produzione industriale del 5,5 per cento, mentre, per il 2019, l'Ocse ha stimato una crescita negativa dello 0,2 e Moody's ha ipotizzato un rialzo del disavanzo fino al 2,5. Alla base di questo strumento di contenimento della spesa c'è l'articolo 1118 dell'ultima legge di bilancio, che ha recepito una delle tre clausole di salvaguardia, accanto all'aumento dell'Iva e delle accise dei carburanti, imposte all'Italia.

Nella manovra il governo ha dato mandato al ministero dell'Economia di bloccare una serie di voci di spesa «a tutela del conseguimento degli obiettivi programmatici». Voci che potrebbero essere tagliate automaticamente a luglio quando proprio con l'Europa il titolare del Mef, Giovanni Tria, farà il punto proprio con Bruxelles sulle finanze italiane.
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