L'Istat: spesa sociale iniqua, al Sud welfare dimezzato

in Italia le prestazioni in denaro assorbono una quota più ampia della spesa per protezione sociale rispetto alla media europea

L'Istat: spesa sociale iniqua, al Sud welfare dimezzato
L'Istat: spesa sociale iniqua, al Sud welfare dimezzato
di Nando Santonastaso
Venerdì 7 Aprile 2023, 07:00 - Ultimo agg. 18:03
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Se ancora ci fosse bisogno di capire quanto abbia pesato sull'allargamento dei divari territoriali in Italia la mancanza dei Lep (i Livelli essenziali delle prestazioni, previsti dalla Costituzione) e la spesa storica, i dati resi noti ieri dall'Istat sulla spesa sociale dei Comuni tagliano la testa al toro. Perché se è vero che l'anno di riferimento è il 2020, il più drammatico della pandemia, e che tutti i Comuni, da Aosta a Pantelleria, hanno dovuto affrontare un anomalo incremento dei bisogni assistenziali, a causa dell'emergenza sanitaria e della conseguente crisi sociale ed economica, è altrettanto vero che le distanze tra Nord e Sud in termini di welfare si sono ulteriormente ampliate. Nel Mezzogiorno la spesa media pro-capite di 66 euro è infatti la metà di quella media nazionale, pari a 132 euro e poco più di un terzo della spesa media del Nord Est, 184 euro per abitante.

Se vogliamo non è una novità in assoluto: se si controllano i dati Istat del 2016, ad esempio, quando la pandemia non era nemmeno all'orizzonte, si scopre che per ciascun residente i Comuni avevano destinato per la spesa sociale (assistenza sanitaria, povertà ma non solo) in media 116 euro ma con disparità anche allora elevatissime: si passa dai 22 euro della Calabria ai 517 della Provincia autonoma di Bolzano. Al Sud quell'anno, si era speso solo il 10% delle risorse destinate ai servizi socio-assistenziali mentre anche per l'assistenza rivolta ai disabili le differenze territoriali erano rilevanti: mediamente un disabile residente al Nord-est usufruiva nel 2016 di servizi e interventi per una spesa annua di oltre 5.150 euro mentre al Sud il costo dei servizi ricevuti era di quasi 865 euro pro-capite. 

A distanza di un lustro la scena non cambia ma con l'aggravante che nel 2020 la spesa per l'area povertà, disagio adulti e persone senza dimora è schizzata in Italia dal 7,4% al 12,2% della spesa complessiva, e aumenti significativi si sono registrati com'era inevitabile per i contributi di sostegno al reddito e i buoni spesa alimentari mentre sono risultati in calo del 5,9% i soldi destinati all'assistenza ai disabili e si è altresì ridotta (-1,7%) anche la spesa per i servizi rivolti agli anziani.

Di tutto ciò, al capitolo aumenti, il divario Nord-Sud non ha minimamente risentito. Nel senso che «quasi il 30% dei Comuni del Mezzogiorno non offre il servizio di assistenza domiciliare agli anziani in condizioni di fragilità, che prevede un supporto per la cura della persona e dell'abitazione», spiega l'Istat, precisando che al Centro sono meno del 15% e al Nord meno del 10%.

L'Istituto nazionale di Statistica sottolinea altresì che la spesa pro-capite media al Sud è al di sotto del dato nazionale per quasi tutte le tipologie di utenti. «Questo si traduce in 155 euro in meno in media per ciascun minore residente, 917 euro in meno per una persona con disabilità (bambino o adulto fino a 64 anni), 49 euro in meno per l'assistenza agli anziani, 14 euro in meno per le persone in età lavorativa, utilizzati nei casi di povertà ed esclusione sociale». È solo a proposito degli stranieri residenti che i Comuni meridionali destinano «mediamente più risorse ai servizi per gli immigrati (15 euro all'anno) rispetto alla media nazionale».

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Se si prova a scorrere l'elenco delle Regioni, del resto, è impossibile cadere in equivoci. In Calabria sommando la spesa sociale per abitante di tutti gli enti si arriva a 28 euro, il gradino più basso in assoluto del Paese, in Basilicata 57 euro, in Campania 75. Nell'altra Italia si spendono 584 nella Provincia di Bolzano (venti volte la Calabria), 322 in Valle d'Aosta, 145 in Lombardia e così via. Un divario enorme che si manifesta anche in altre voci (il reddito pro capite, o il tempo pieno a scuola, o la disponibilità di mense e palestre per restare al decisivo tema dell'istruzione obbligatoria appena sottolineato da una ricerca della Svimez) ma non per questo assume meno importanza. C'entrano i tagli al welfare dei Comuni, certo, con i quali si era pensato di risolvere i problemi dei bilanci in perdita degli enti locali ma che di fatto hanno finito per rendere ancora più poveri gli interventi al Sud dove povertà e carenza di servizi sociali vanno da sempre a braccetto. Ma c'entra soprattutto la pervicace resistenza sulla spesa storica che ha prodotto (e continua a produrre) effetti pesantissimi sul tessuto amministrativo meridionale. È quasi paradossale, infatti, accertare come fa l'Istat che rispetto alla media europea, l'Italia destina una quota importante del Pil alla protezione sociale (34,3% contro il 31,7% della media Ue), anche se la spesa in termini pro-capite (9.316 euro nel 2020) è leggermente inferiore al dato europeo (9.536). Solo che le risorse per i disabili sono inferiori alla media Ue (476 annui, contro 669), così come quelle per le famiglie e i minori (339 contro 753), «evidenziando una carenza di servizi di natura socio-assistenziale e socio-educativa». 

In altre parole, in Italia, le prestazioni in denaro assorbono una quota più ampia della spesa per protezione sociale rispetto alla media europea, a scapito delle spese per servizi di cura (77,3% prestazioni in denaro, contro il 66% in media a livello europeo, il 65% della Francia, il 61,7% della Germania). Non a caso per la funzione vecchiaia - continua l'Istat - dove è preponderante la spesa previdenziale, l'Italia spende più della media europea ed è in linea con altri Paesi, come la Francia e l'Olanda (4.200 euro pro-capite l'anno). C'è il Pnrr, si dirà, che ha previsto risorse importanti alla missione inclusione per sostenere la spesa sociale sui territori: ma anche qui il Sud rischia di non fare progressi perché, com'è stato più volte detto, mettere in competizione gli enti locali ha allontanato il Pnrr dal rispetto del criterio perequativo che avrebbe dovuto orientare la distribuzione territoriale delle risorse disponibili per andare incontro all'obiettivo di riequilibrio. E con la riforma dell'autonomia differenziata alle porte non c'è da sperare che le cose cambino in fretta e in meglio. 

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