Veti e burocrazia, l'Italia verso il no al grande affare del petrolio

Veti e burocrazia, l'Italia verso il no al grande affare del petrolio
di Francesco Pacifico
Domenica 30 Giugno 2019, 08:30 - Ultimo agg. 14:00
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Dopo il governo - con il Blocca trivelle - ci ha pensato la burocrazia ministeriale a mettere a rischio i sogni di ricchezza del Texas d'Europa. Cioè la Basilicata, un territorio che vive il paradosso tra il possedere i maggiori giacimenti di petrolio presenti nel Vecchio Continente (4 milioni di tonnellate prodotte ogni anno in Val d'Agri) e l'applicazione dei prezzi della benzina più alti che si registrano in Italia. Regione che dal 2000 a oggi ha visto piovere royalties per 2,2 miliardi di euro (non sempre distribuite al meglio) e che fino a un anno fa sperava di triplicare gli incassi e incamerare soltanto nel prossimo triennio 800 milioni di euro.
 
Ma ora tra Potenza e Matera dovranno rivedere i programmi, perché lo scorso 5 giugno il Cipe, il comitato interministeriale la programmazione economica, ha respinto la richiesta Total di prorogare la dichiarazione di pubblica utilità, indispensabile per velocizzare le opere nei comuni di Corleto Perticara, Guardia Perticara e Gorgoglione e far partire il centro olio di Tempa Rossa. Cioè un impianto per la lavorazione del greggio pompato nel territorio da inviare a una raffineria Eni di Taranto attraverso l'oleodotto della Val d'Agri. Un sito per lo sfruttamento di un giacimento che doveva partire un anno fa, per il quale la stessa multinazionale francese e la Shell hanno già investito 1,5 miliardi di euro. Massimo Garavaglia, viceministro all'Economia, ha spiegato in un'intervista rilasciata al Mattino che «il petrolio è un'opportunità certo da cogliere con la massima attenzione per quanto attiene alla tutela ambientale, ma pur sempre un'occasione da non perdere». Invece la decisione del Cipe - presieduto dal premier Giuseppe Conte e composto per lo più da esponenti grillini - starebbe spingendo Total ad abbandonare l'Italia. I francesi sarebbero stanchi delle inchieste giudiziarie nelle quali sono incappati, come quella che sfiorò e costrinse l'ex ministro dello Sviluppo, Federica Guidi a dimettersi. Non comprendono gli intoppi messi dagli enti locali: a dicembre la Regione la diffidò dall'avviare le attività di estrazione petrolifere del giacimento di Tempa Rossa per non aver ottemperato ad alcuni obblighi normativi. Temono che dietro le ultime decisioni ci siano non poche ripercussioni tra le svariate guerre politico-commerciali che vedono fronteggiarsi Francia e Italia e che spaziano dalle telecomunicazioni, la situazione della Libia e il controllo delle ultime casseforti del capitalismo italiano come Generali.

Vera o falsa che sia la ricostruzione, rischiano di saltare investimenti e un giro d'affari legato allo stabilimento, che potrebbe superare i due miliardi di euro. Ma la vicenda è paradigmatica di come l'attuale maggioranza di governo sta affrontando la questione petrolifera. A gennaio il ministro dell'Ambiente, Sergio Costa, dopo che il suo dicastero aveva dato il via a una quarantina di attività esplorative nel mar Jonio tra Puglia e Basilicata, si era subito affrettato a far sapere che «erano state autorizzate dal governo precedente e in particolare dal ministero dell'Ambiente retto dal ministro Galletti che aveva dato una valutazione di impatto ambientale favorevole». «Non poteva fare altrimenti», l'aveva difeso il vicepremier Luigi Di Maio. Tutte parole e azioni che sono state prodromiche dell'emendamento cosiddetto «Blocca trivelle», che congelerà per i prossimi 36 mesi le ricerche di idrocarburi fossili e alzerà i canoni di concessione, determinando non poche ripercussioni in un territorio dove ci sarebbero altri giacimenti da scoprire.

Anche questo insieme di circostanze ha spinto una Regione storicamente di centrosinistra a scegliere all'ultima tornata amministrativa l'ex generale della Guardia di Finanza Vito Bardi, amico di Silvio Berlusconi, e soprattutto la Lega di Matteo Salvini. La popolazione di Viggiano, dove c'è il centro Oli dell'Eni, ha garantito un plebiscito (65 per cento dei voti) al Carroccio. Ma il nuovo corso ha finito anch'esso per mettere i bastoni tra le ruote nella corsa all'oro nero: la nuova giunta si è costituita dalla parte del Mise in un procedimento al Tar, che vede il dicastero chiamato in causa dall'inglese Rockhopper per essersi vista bloccata l'autorizzazione a cercare il greggio a Masseria La Rocca. «Abbiamo dato un segnale importante all'aumento dei pozzi di petrolio nella nostra terra», ha rivendicato tronfio l'assessore all'Ambiente, Gianni Rosa.
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