Italia, vergogna opere incompiute. Per la Campania costi raddoppiati

Italia, vergogna opere incompiute. Per la Campania costi raddoppiati
di Francesco Lo Dico
Venerdì 10 Agosto 2018, 08:51 - Ultimo agg. 15:36
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Era il febbraio 1989 quando la prima pietra della diga di Pietrarossa, Sicilia, fu posata nelle campagne di Caltagirone. Ma trent'anni dopo, e nonostante una spesa di 75 milioni, la faraonica opera finanziata dalla Cassa del Mezzogiorno per alleviare l'emergenza idrica dell'Isola continua ad assetare come un tempo gli oltre 17mila ettari di terra della piana di Catania cui era destinata. Serviranno altri 60 milioni per completare l'opera, con la nuova apertura dei cantieri fissata per il 2020. Ma tra Enna e Catania nessuno è pronto a scommetterci. Perché Pietrarossa oggi non è solo il monumento allo spreco pubblico, ma il marchio di fabbrica di un grande classico italiano: le grandi opere incompiute. Non c'è infatti solo la Tav. Secondo gli ultimi dati del ministero dei Trasporti, i cantieri delle grandi opere oggi bloccati sono ben 647. Tra il 2016 e il 2017, qualche piccolo progresso è stato registrato. Ma le 105 opere pubbliche uscite dal limbo nell'arco di un anno (erano 752 nel 2016), hanno alleggerito le spese previste per completarle (oggi parliamo di 4 miliardi), di appena 500 milioni. A differenza delle altre Regioni d'Italia, dove i lavori a tempo indeterminato sono in diminuzione, Campania e Sicilia sono andate però controcorrente. Nell'Isola, che pure è il più grande cimitero dei lavori pubblici italiani (159 su 647, in pratica un quarto del totale), la collezione di cattedrali nel deserto 2016-2017 si è arricchita di altre tre unità. Ma molto peggio ha fatto la Campania, dove i cantieri congelati sono passati nello stesso periodo da 26 a 41, e le spese previste per concluderli sono addirittura quasi raddoppiate: dai 111 milioni a quasi 208.

COME UN VIRUS
Da Nord a Sud, non c'è regione immune all'italico morbo dell'incompiutezza. Parliamo di raccordi stradali, dighe, ponti, scuole, caserme, asili nido, linee ferroviarie. E persino di una città intera. Quella dello sport di Roma, che avrebbe dovuto ospitare i mondiali di nuoto del 2009, ma non fu mai completata. Costata finora 608 milioni, oggi è ridotta a una malinconica vela a forma di pinna di squalo, che scuote il silenzio delle campagne di Tor Vergata. E per finirla servirebbero altri 400 milioni. A scorrere la lista delle incompiute, è soprattutto il Mezzogiorno assetato di infrastrutture a fare da padrone. A partire dalla Sicilia, che come detto detiene il poco invidiabile record di 162 opere fantasma. A seguire l'altra grande Isola, la Sardegna, dove oggi stormiscono nel vento 86 cattedrali nel deserto. A completare il podio c'è la Puglia, dove i riflettori mediatici puntati sulla Tap lasciano nell'ombra ben 54 opere ferme (ma sono oggi ben 33 in meno rispetto al 2016) tra cui scuole, strade e palazzetti dello sport. Opera simbolo dello spreco locale è in questo caso il nuovo Palazzo di Città di Nardò. In stand by da decenni, per completarlo servirebbero 8 milioni di euro. Così che a un certo punto, si è anche pensato di demolirlo. Male il centro Italia: il Lazio, la Basilicata e l'Abruzzo, mettono insieme rispettivamente 45, 33 e 31 cantieri ancora a cielo aperto. Alcuni di fondamentale importanza, come il Distretto Sanitario e poliambulatorio di Pescara sud, che è costato 1,3 miliardi e ha ancora bisogno di oltre 700 milioni di euro per essere completato. Non va bene neanche per il Molise, che nonostante le ridotte dimensioni ha ancora sul groppone 15 opere incompiute. Tante quante ce ne sono in Calabria. A Nord, a dispetto della sbandierata efficienza, la Lombardia guida la classifica dello spreco con 27 opere ancora al palo, mentre l'altra regione che punta all'autonomia rafforzata, il Veneto, deve fare ancora i conti con 14 opere nel limbo.

IL CASO NAPOLI
Si è detto finora che sono quattro i miliardi necessari per chiudere l'eterno derby che contrappone l'Italia alle grandi opere. Ma a spulciare bene i dati del Mit, si scopre che sono 37 i cantieri di competenza del ministero dei Trasporti ancora bloccati. Non molti, in proporzione ai 647 totali. Ma di grande peso in termini di risorse da investire. Spesi finora quasi due miliardi, ne sono necessari quasi altrettanti per completarli. Nella sciarada ministeriale, che comprende diversi edifici destinati alle forze di pubblica sicurezza, brilla su tutte proprio un'infrastruttura destinata alla Campania: il centro polifunzionale Pattison che dovrebbe essere assegnato all'Arma dei Carabinieri di Napoli. Nonostante l'appalto sia stato assegnato nel 2006, e siano già stati investiti 17,5 milioni, della struttura non c'è ancora traccia.

 

Si è fatto un gran parlare, da un mese a questa parte, delle grandi opere più contese. Quelle che sull'onda dello scontro tra alleati di governo giallo-verdi sono riuscite a guadagnarsi i titoli dei quotidiani. Ma nella lista del ministero dei Trasporti, ce ne sono anche di meno note, e altrettanto funzionali. Infrastrutture come la pedemontana delle Marche, che a fronte di oltre 30 milioni di euro investiti, vede i lavori latitare poco sopra l'uno per cento, o la linea ferroviaria Ferrandina-Matera. Che dopo oltre trent'anni, e 255 milioni di euro investiti, è ancora ferma a un misero 15,6 per cento dei lavori. A ogni scossa di terremoto, le scuole antisismiche tornano d'attualità, per ripiombare nel nulla dopo mille proclami. Ma se solo si completassero quelle già avviate, e mai concluse, si otterrebbero risultati a breve termine non disprezzabili. Sono infatti 58 gli edifici scolastici ancora incompleti che figurano nell'elenco del ministero. La maggior parte concentrata in Sicilia, Puglia e Sardegna.

Tra progetti rivisti, lavori bloccati per questioni burocratiche, appalti irregolari, mancanza di fondi e conti sballati, l'Italia resta al palo. Più passa il tempo, più i costi lievitano. Anche perché, talvolta accade che nelle bibliche more le società che si aggiudicano i lavori intanto falliscono, perché muoiono di pubblica inedia. È un fenomeno ben noto all'Ance, che di recente ha rivisto decisamente al rialzo i dati ufficiali forniti sulle incompiute dal ministero dei Trasporti. Che sono incompleti perché gli enti locali spesso omettono di includere negli elenchi molte delle opere ferme. Ecco perché nel bilancio dei costruttori edili italiani relativo ai primi tre mesi di quest'anno, sono già 270 le segnalazioni di opere interrotte, per un totale di 21 miliardi di euro di lavori bloccati. Gli effetti sono dirompenti, spiega l'Ance: 330mila posti di lavoro in meno e 75 miliardi di euro di mancate ricadute sull'economia, e un prezzo da pagare all'inefficienza, in termini di diseconomie, che uno studio dell'economista Andrea Gilardoni della Bocconi, valuta in oltre tre miliardi all'anno.
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