Jobs Act, 80mila contratti terminati:
la riforma arriva alla prova finale

di Nando Santonastaso
I primi contratti scadono in questi giorni e non sono pochi se si
considera che solo tra gennaio e febbraio 2015 le assunzioni con
esonero contributivo al 100 per 100 furono oltre 275mila, come
all'epoca calcolò la Fondazione dei Consulenti del
lavoro. Parliamo del bonus previsto dalla Legge di stabilità
2014 che dopo l'approvazione del Jobs act aprì la strada
ad una importante rivoluzione (solo in parte realizzata) nelle
politiche attive del lavoro in Italia. Alle imprese veniva offerta
la possibilità di nuove assunzioni a tempo indeterminato
(con i contratti a tutele crescenti introdotti dal Jobs act)
attraverso una decontribuzione fiscale al 100 per 100, poco
più di 8mila euro a contratto, per una durata di tre anni.
Una svolta almeno nelle intenzioni, come il tempo ha poi
dimostrato, che ha sicuramente permesso al Paese di recuperare
molti dei posti di lavoro persi durante la crisi 2008-2015 ma che
strada facendo non ha spento l'allarme precarietà,
tornato a livelli preoccupanti nel 2017.
Secondo i dati raccolti dalla Uil, nei primi nove mesi dello scorso anno il livello di flessibilità raggiunto dai rapporti di lavoro attivati supera l'82,5%, la percentuale più alta dell'ultimo quadriennio. Non è un rilievo statistico qualsiasi perché sembra confermare le perplessità di molti secondo cui alla scadenza del triennio, i contratti nati attraverso la decontribuzione totale quasi interamente pagata nel 2015, va ricordato, da risorse originariamente destinate alla crescita dell'occupazione del solo Mezzogiorno - potrebbero non avere futuro. In altre parole: se la tendenza di ricorrere sempre più a contratti a tempo determinato, diventasse come tutto lascia supporre, la costante del mercato del lavoro rischierebbero di non avere più certezze di continuità le centinaia di migliaia di posti garantiti finora dal bonus assunzioni.
La fine del bonus assunzioni rischia di portarsi dietro anche le centinaia di migliaia di posti da esso finora garantiti. Ma le cose stanno davvero così? E quanti, secondo valutazioni forzatamente approssimative, potrebbero essere gli occupati senza futuro una volta terminati gli incentivi?
Giovedì 11 Gennaio 2018, 09:42 - Ultimo aggiornamento: 11-01-2018 15:02
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Secondo i dati raccolti dalla Uil, nei primi nove mesi dello scorso anno il livello di flessibilità raggiunto dai rapporti di lavoro attivati supera l'82,5%, la percentuale più alta dell'ultimo quadriennio. Non è un rilievo statistico qualsiasi perché sembra confermare le perplessità di molti secondo cui alla scadenza del triennio, i contratti nati attraverso la decontribuzione totale quasi interamente pagata nel 2015, va ricordato, da risorse originariamente destinate alla crescita dell'occupazione del solo Mezzogiorno - potrebbero non avere futuro. In altre parole: se la tendenza di ricorrere sempre più a contratti a tempo determinato, diventasse come tutto lascia supporre, la costante del mercato del lavoro rischierebbero di non avere più certezze di continuità le centinaia di migliaia di posti garantiti finora dal bonus assunzioni.
La fine del bonus assunzioni rischia di portarsi dietro anche le centinaia di migliaia di posti da esso finora garantiti. Ma le cose stanno davvero così? E quanti, secondo valutazioni forzatamente approssimative, potrebbero essere gli occupati senza futuro una volta terminati gli incentivi?
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