La partita a scacchi
senza uscite

di Mauro Calise
Martedì 24 Aprile 2018, 08:32 - Ultimo agg. 09:46
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A parte i voti – che non contano certo poco – c’è un’altra risorsa in cui i cinquestelle stanno dando filo da torcere ai competitor. Si chiama innovazione. E, di questi tempi, è la risorsa strategica. Ne avevano dato prova – e che prova! – inventandosi un nuovo tipo di partito. Metà movimento e metà ferreo controllo centralistico, metà piazza e metà rete, metà homines novi in Parlamento e metà consumati strateghi della comunicazione. Al confronto, il povero Pd appare un residuato bellico. 

E anche la Lega si sta limitando a utilizzare – al meglio – le geniali intuizioni del suo fondatore, ormai un quarto di secolo fa. I cinquestelle, invece, hanno continuato a innovare. Smussando, subito dopo il voto, le posizioni più radicali. E presentandosi come gli alfieri del più sfacciato pragmatismo. Pronti a rispondere alle – meritate – accuse di trasformismo con una importante innovazione – di metodo prima ancora che di sostanza – sul fronte cruciale del programma. 

Prendete il documento sulle possibili convergenze di governo. Con tre novità del tutto inedite nel panorama italiano – e non solo. La prima è la terzietà dei redattori, figure autorevoli del mondo accademico ma esterne, per lo più, all’affiliazione pentastellata. Un atto di coraggio e, al tempo stesso, di serietà. Che mira a puntellare l’aspetto – finora – più fragile del movimento, la sua scarsa affidabilità. La seconda novità riguarda lo stile e il formato del report. Asciutto, franco, senza complimenti. E breve. Il contrario delle sibilline e enciclopediche stesure programmatiche dei partiti tradizionali, che nemmeno gli estensori erano in grado di illustrare in poche e semplici frasi. Il risultato – ed è la novità più importante – di questa prima scrematura, che fa emergere i punti di scontro e/o di possibile incontro, è il riconoscimento politico che le alleanze non sono facili. Ma, senza alleanze, non si va da nessuna parte.

Ed è questo il punto di partenza – anche – dell’incarico a Fico. Un incarico che difficilmente produrrà, nei tempi brevi, un governo. Ma che, grazie al mandato esplicito del colle, ha il compito di saltare i tatticismi dei leader – e delle correnti – e andare al sodo. Al nocciolo che conta nella valutazione della massima autorità del nostro Stato. Ci sono convergenze sufficienti sui compiti chiave di un esecutivo, qui ed ora? È improbabile che la risposta a questo interrogativo sia un no secco. A differenza di un mese fa, Fico sa bene quali sono i margini – e i nodi ostici – di una trattativa. E, soprattutto, sa che il secondo forno, quello della Lega, al momento è privo di legna. Non si tratta certo di una chiusura a tempo indeterminato. E, da un momento all’altro, Salvini – messo alle strette – potrebbe decidersi a mollare il suo scomodo alleato e a riaprire, con più miti pretese, le trattative con Di Maio. 

Ma, per la Lega, si tratterebbe di una scelta molto rischiosa. Rompere con Berlusconi e infilarsi in un rapporto subalterno con un partito quasi il doppio del proprio potrebbe significare condannarsi a un ruolo di seconda fila. Restando, invece, all’opposizione, Salvini avrebbe il tempo di assorbire la diaspora di Forza Italia, diventando in pochi anni il leader di una forte destra unificata. Dal canto proprio, il Pd, non avrebbe, al contrario, molto da guadagnare se proseguisse nel suo isolamento. Per il semplice fatto che gli manca, oggi, sia un leader che un’organizzazione. Due requisiti di ogni partito che ambisca a sopravvivere, e a crescere.

Certo, perché i democratici si rassegnino ad una alleanza coi cinquestelle che li vedrebbe – molto – ridimensionati, dovrebbero quantomeno riuscire a salvare la faccia. Ottenere che venga steso un velo sugli insulti e le accuse prive di criterio e contegno con cui il partito di Di Maio ha assalito i governi Renzi-Gentiloni durante tutta la campagna elettorale. Si sa che le autocritiche, in politica, pochi hanno la statura per farle. Ma il compito assegnato a Fico rappresenta già un primo risarcimento. E il riconoscimento che ci sono – se si guarda ai contenuti – nodi molto rilevanti che si potrebbe provare a sciogliere insieme. Al Presidente della Camera non manca certo la sensibilità – e la cultura – politica per provare a dipanare la matassa. Sarebbe comunque un filo da riprendere a tessere in futuro, se si dovesse tornare al voto.
 
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