Nomine, prime crepe tra Merkel e Macron: Weber parte in salita

Nomine, prime crepe tra Merkel e Macron: Weber parte in salita
di Antonio Pollio Salimbeni
Mercoledì 29 Maggio 2019, 11:00 - Ultimo agg. 14:47
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BRUXELLES - È molto complicata e condotta non certo con i guanti la partita sulle nomine delle principali istituzioni della Ue: presidenti di Commissione, Ue e Bce, ministra degli esteri più il presidente del parlamento. Questa volta la strada è più in salita del solito perché la maggioranza politica deve essere più ampia del passato visto che Ppe e Pse da soli non bastano più. Ma soprattutto perché in un'Europa divisa sulle prospettive, con un fronte nazionalpopulista più forte, anche se difficilmente in grado di comporre minoranze di blocco, è assai complicato trovare punti di equilibrio. Ai 28 capi di stato e governo arrivati nella capitale belga, il presidente della Ue Tusk ha ottenuto il mandato a organizzare il grande gioco.

È lui ad avviare consultazioni per comporre un puzzle, che ai più appare impossibile da comporre, sulla base di criteri precisi: geografici (Est/Ovest, Nord/Sud), rapporto tra Stati grandi e Stati medio-piccoli, genere, esperienza di altissimo livello politico-istituzionale. Impensabile non ci siano un francese e un tedesco. Questa volta l'Italia dovrà saltare il turno essendo stata beneficiata di ben tre massime cariche: Draghi alla Bce, Tajani al parlamento europeo, Mogherini ministra degli esteri. Dovrà esserci una donna, se non due come chiede Tusk.
 
L'obiettivo è chiudere entro giugno, nel 2014 furono necessarie tre riunioni, l'ultima a fine agosto. Importante che la premier britannica May partecipa al Consiglio in piena regola, con tutti i poteri che derivano dall'appartenenza del Regno Unito alla Ue. Il suo voto conterà. E siccome le nomine sono decise a maggioranza qualificata, il peso britannico potrebbe essere rilevante. Per quanto sia paradossale, dato che Londra è in uscita o dovrebbe essere. In pieno corso il braccio di ferro politico-istituzionale tra Parlamento e Consiglio, cioè i governi.

È la questione dello Spitzenkandidat', il candidato di punta del partito che è in grado di costruire attorno a sé una maggioranza.

Il campione emergente è il bavarese Manfred Weber, del Ppe. Ma la sua stella sembra un po' appannata. «Lo sostengo», ha confermato la cancelliera Merkel al suo arrivo a palazzo Justus Lipisius. Macron non indica nomi e rileva che occorre una personalità europea che punti alto, con ambizioni di riforma e di rafforzamento della Ue. Chi immagina uno scontro tra Macron e Merkel sulle nomine, comunque, sbaglia di grosso: entrambi sono stati indeboliti dal voto, sono obbligati a difendere l'asse franco-tedesco, seriamente indebolito. Contro il sistema Spitzenkandidaten' sono i 4 di Visegrad: Ungheria, Polonia, Cechia e Slovacchia: «Non è la Bibbia», dice lo slovacco Pellegrini.

Macron spinge per il negoziatore Ue per la Brexit Michel Barnier. Il quale ha davvero ottime chances, piace ai liberali e non dispiace ai socialisti anche se il campione ufficiale del Pse è l'olandese Timmermans. La commissaria alla concorrenza Vestager è sponsorizzata dai liberali, i quali però stanno giocando due carte per la presidenza Ue: il belga Michel (quasi un ex premier) e il premier olandese Rutte. Per la posizione agli Esteri è in corsa la lituana Dalia Grybauskaite (indipendente) e anche Timmermans.

Cominciano a profilarsi ipotesi di quartetti e quintetti a seconda se delle rose' fa parte anche chi sostituirà Mario Draghi a Francoforte.

La questione Bce è delicatissima: non si capisce se davvero a Berlino si punta al presidente della Bundesbank Weidmann, l'anti-Draghi. Certo la sua candidatura corre veloce, ma non è facilmente digeribile in molti Paesi. In alternativa si parla dei finlandesi Rehn e Liikanen. Per ora non sembra con molta convinzione.

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