Letta evoca il Draghi bis. E Giorgetti lancia la sfida: «Lega gruppo del premier»

Il segretario dem: «Se Conte decide di uscire dal governo, ci porremo il problema»

Letta evoca il Draghi bis. E Giorgetti lancia la sfida: «Lega gruppo del premier»
Letta evoca il Draghi bis. E Giorgetti lancia la sfida: «Lega gruppo del premier»
di Andrea Bulleri
Venerdì 8 Luglio 2022, 06:28 - Ultimo agg. 15:59
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Ufficialmente la rotta, dalle parti di Largo del Nazareno, non cambia. È quella tracciata settimane fa da Enrico Letta: «Con M5S ha ripetuto ieri il segretario dem continua il percorso di discussione sulle cose da fare». Ma per la prima volta il leader del Pd ammette di valutare anche altri scenari: «Se i cinque stelle dovessero uscire dal governo riflette ci porremo il problema se fare un Draghi bis». Dunque, non più «o con questa maggioranza oppure alle urne».

Non è un dietrofront all'alleanza coi pentastellati, quello del segretario.

Letta lo ripete ai suoi da giorni: «Vedrete, Conte alla fine non mollerà il governo». Semmai si tratta di prendere in considerazione tutti gli scenari. Anche perché l'umore delle truppe Pd a Montecitorio sul proseguire nel campo largo non pare altrettanto ottimista. Soprattutto dopo quelle parole dell'ex premier sul fatto che i Cinquestelle non accettano «diktat» dai dem.

Chi al contrario appare perfino rinvigorito, in queste ore, è Giancarlo Giorgetti. Primo, le assenze leghiste al voto di fiducia, assicura, non erano affatto politiche. Secondo, il rapporto con Salvini - giura chi gli è vicino - è di «piena sintonia», come testimoniano anche i sorrisi e le battute scambiati tra i due ieri mattina alla riunione dei gruppi. Il neocelodurismo di Salvini non preoccupa il ministro dello Sviluppo («attenti a non confondere il pensiero di Matteo e quello riportato da alcuni dei suoi», avvertono i giorgettiani), che anzi appare, dicono, «quasi sollevato» di fronte ai ragionamenti di Giorgetti.

L'analisi che il ministro leghista ha condiviso con i suoi, dunque, è che grazie alla «débacle 5Stelle» (è così che la chiama) «si apre una pagina nuova per la Lega, che torna centrale, ago della bilancia. Non solo in quanto ormai primo gruppo, ma anche nel Paese». «La debolezza di Conte - è il ragionamento di Giorgetti - sia che resti nel governo sia che ne esca, ci dà dunque un'altra occasione. Quella di diventare noi i gruppi di riferimento naturale di Draghi, noi e non il Pd. Numericamente siamo più forti di loro e abbiamo sempre garantito la stabilità». Basta che, appunto, la Lega sappia approfittarne per «voltare pagina» e diventare «i gruppi di Draghi».

Non c'è altrettanto ottimismo all'orizzonte, tra i dem. Dove comincia a crescere una certa sfiducia nei confronti dell'alleato Conte. A molti non è andato a genio quell'appello dell'avvocato alla «lealtà». «Noi dobbiamo garantire la lealtà? A lui che minaccia la crisi a giorni alterni?», hanno alzato le sopracciglia al Nazareno. «E poi, quali sarebbero i diktat? Abbiamo solo fatto una constatazione di realtà fa notare qualcuno Se M5S torna a fare il partito antisistema, con noi non ha più molto a che spartire...». Per non parlare, ed è questo il punto che ieri ha fatto allargare le braccia a più di un deputato democrat, di quel «vedremo» con cui Conte ha liquidato una domanda sul voto di fiducia in Senato, la settimana prossima. Cresce la preoccupazione, tra i dem. E anche la stizza. Nessuno si lancia in pronostici. «Come finirà? Aspettiamo e vediamo», alzano le spalle.

 

I CONTATTI

I contatti, tra Giuseppe Conte e il Nazareno, in questi giorni sono stati continui. La linea ufficiale del Pd, in ogni caso, è quella di non mettere pressioni all'avvocato. «Devono sbrigarsela da soli. Noi, al massimo, possiamo tendergli una mano». Anche perché sanno bene, i vertici dem, che non è tanto Giuseppe Conte che dovrebbero convincere. Quanto piuttosto i suoi eletti. «Lui in questo momento si trova tra l'incudine e il martello», il ragionamento che si fa a largo del Nazareno. «E poi che convenienza avrebbe, Conte, a rompere con la maggioranza?», si chiede il deputato Enrico Borghi: «L'ala dura e pura del Movimento è quella incarnata da Alessandro Di Battista e dal gruppo ex grillino di Alternativa. Quello spazio , ormai, è già occupato».
Ma l'impressione è che anche nel Pd, come nei 5S, convivano ormai due anime. Da una parte, quella convinta che col campo largo valga la pena provarci. Dall'altra, quella di chi dell'avvocato e dei suoi tira e molla «ne ha le scatole strapiene», come racconta una fonte al Senato. «Prima erano solo gli ex renziani di Base riformista», spiega: «Ora invece è la maggioranza dei gruppi a non poterne più del Movimento. Anche molti tra i franceschiniani vorrebbero dire basta».

Un malumore di cui i vertici, Letta e capigruppo in primis, sarebbero già stati avvertiti. «Cercano di rassicurare Conte, di dirgli che va tutto bene. Ma è evidente che non è così: come si fa a creare un'alleanza su queste basi, quando manca anche il rispetto nei nostri confronti?». Una risposta prova a darla un altro deputato, mentre esce dall'aula dopo aver votato la fiducia. «È il nostro destino sorride siamo condannati a essere quelli responsabili. Sia al governo, che nella coalizione».

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