Lo strappo di Liberi e Uguali si sfila: no a Gori, Pd da solo in Lombardia

Lo strappo di Liberi e Uguali si sfila: no a Gori, Pd da solo in Lombardia
di Marco Conti
Sabato 13 Gennaio 2018, 09:38 - Ultimo agg. 18:55
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ROMA - Paolo Gentiloni si candida nel collegio di Roma1 e apre la campagna elettorale parlando della sua città nel giorno dell'ennesimo sciopero dei bus e mentre l'immondizia si accumula per le strade. Lo stile resta sempre quello di Gentiloni, ma l'affondo - seppur garbato - nei confronti di coloro che amministrano la città, il M5S, suona anche come sveglia per il suo partito, il Pd, che dalla caduta di Marino in poi ha lasciato a se stessa la Capitale.

Una strategia perdente che con Roberto Giachetti - già candidato al Campidoglio - cerca di correggere e lo fa il giorno dopo aver passeggiato con il presidente francese Macron per il centro di Roma. «Siamo il governo e non possiamo non avere uno spirito di collaborazione su Roma», ha sostenuto Gentiloni ieri al Tempio di Adriano. Un ragionamento che dovrebbe valere per qualunque presidente del Consiglio e che Gentiloni argomenta non da romano ma collocando la Capitale nel posto che le spetta quando dice che «solo pensando al mondo ti occupi dei romani».

Parte da Roma la personalissima campagna elettorale di Gentiloni, e nel giro di poche ore arriva fino a Torino dove infiamma la platea di amministratori locali del Pd sostenendo che «i giochi non sono fatti» e che «dobbiamo vincere» perché «in gioco c'è il futuro del Paese». Anche se sa che sarà difficile vederlo in qualche talk show, ieri sera Matteo Renzi si è spellato le mani: «Molto bello il suo discorso». Al Nazareno si confida molto sulle capacità di Gentiloni di convincere l'elettorato moderato a recarsi alle urne. Anche se la sua presenza sui media non sarà ossessiva e certamente non pari a quella dei segretari di partito, il presidente del Consiglio ha tutti i requisiti per rassicurare l'elettorato di centrosinistra e gli argomenti per svegliarlo dal rischio di ritrovarsi di nuovo con Berlusconi o preda dell'incapacità grillina. Per vincere le elezioni servono «credibilità e speranza: non inseguiamo i titoli di giornale, prendiamo sul serio l'Italia perché lo merita». L'invito di Gentiloni suona come un richiamo anche ai quadri di partito presenti a Torino perché, visti i sondaggi del Pd, non sembra più tanto vero che «i risultati dei nostri governi parlano da soli». Il presidente del Consiglio non si sottrae al ruolo di testimonial degli anni di governo che ha risollevato la crescita e ridotto drasticamente gli sbarchi. A tutte le ipotesi sul dopo voto, soprattutto a quelle che lo vogliono di nuovo a palazzo Chigi, Gentiloni non ha mai creduto. Soprattutto perché poggiano su un presupposto: che il Pd resti il partito più votato. La campagna elettorale del premier serve proprio per questo.

Intanto Liberi e uguali dice no a Giorgio Gori. A nulla sono valsi appelli e trattative. L'assemblea lombarda di LeU si chiude con una fumata nera: la sinistra candida alla guida della Regione l'esponente di Mdp Onorio Rosati. E gela così le speranze dem di un aiuto al candidato renziano, nel difficile tentativo di rimonta al centrodestra.
 
Nel Lazio i giochi sono invece ancora aperti e sembrano portare verso un accordo: l'assemblea locale di LeU dà mandato a Pietro Grasso, presente in sala, di trattare con Nicola Zingaretti sulla coalizione. Ma il «niet» a Gori alza la tensione a sinistra. D'altro canto anche Gentiloni, senza andare allo scontro, aveva rivendicato un primato al Pd: «Noi siamo la sinistra di governo, non ce n'è altri». E, auspicando una coalizione che includa anche la Bonino, rivendicava al Pd i tratti di una sinistra «di governo», diversa dalla sinistra che del governo «ha paura» e tende a «rifugiarsi nel cantuccio» di idee del passato. Il no in Lombardia era nell'aria. Gori ne prende atto, chiarendo che dovranno essere gli esponenti di LeU a spiegare perché hanno deciso di andare divisi, rinunciando alla speranza di battere la destra, dopo il ritiro di Roberto Maroni. «Siamo dalla parte giusta», rivendica davanti ai delegati lombardi il capogruppo Mdp Francesco Laforgia. «Non ci faremo dire che usciamo dal centrosinistra perché il centrosinistra non esiste senza la sinistra».
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