M5S, sulla strada di Di Maio ​riecco la variabile Fico

M5S, sulla strada di Di Maio riecco la variabile Fico
di Francesco Lo Dico
Martedì 17 Aprile 2018, 08:50 - Ultimo agg. 09:37
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A “bordo” del Movimento ci sono saliti entrambi sin dalle origini dalla stessa scaletta. Ma una volta salpati alla conquista del vello d’oro, i due argonauti campani hanno cominciato a litigarsi il timone: jeans e maglietta, barba biblica e nera, Roberto Fico tracciava la rotta a babordo. Poi arrivava Luigi Di Maio, cravatta al vento, e sterzava a tribordo. Così è sempre stato negli ultimi dieci anni. E così sarà ancora da qui a pochi giorni, quando vicina alla banchina di Palazzo Chigi, la ciurma pentastellata dovrà scegliere, forse per sempre, se seguire i due dioscuri a destra o a sinistra dopo anni di navigazione in balia di correnti opposte. Posillipino, figlio di un dipendente del Banco di Napoli, il presidente della Camera non è stato esente da critiche dopo le foto in corriera per andare a Montecitorio. Ma la passione per l’autobus ce l’aveva sin da ragazzino, quando dalla prestigiosa collina napoletana scendeva per raggiungere il Liceo Umberto I a Chiaia. «Gli altri chiattilli ci andavano con la moto per fare scena. Roberto no, prendeva tutte le sante mattine il 140, senza mai fare un fiato», racconta chi lo conosce bene. Timido e sognatore, Fico studiava da musicista e non si perdeva mai un concerto di Lucio Dalla. Poco lontano da Napoli, frattanto il giovane Di Maio cresceva a Pomigliano, all’insegna del tipico pragmatismo di provincia. Figlio di un dirigente del Movimento sociale («ma io avevo le mie idee», preciserà sfuggente), sensibile al richiamo della legalità in una terra martoriata, il giovane Luigi si vedeva da grande foderato da un uniforme da poliziotto. E anche al liceo, dove già primeggiava in diplomazia, aveva già deciso da che parte stare. «Arringava gli altri ragazzi, e spiegava loro che non dovevano occupare», racconta un suo coetaneo. Tutore dell’ordine Luigi, cultore del disordine creativo Roberto. Che al primo voto utile, neppure ventenne, premia Bassolino come candidato sindaco, quando ancora c’era il Pds. E poi si iscrive a Rifondazione.  
Molti anni dopo, nel 2005, il futuro presidente della Camera ritaglia in una grotta di tufo di un pub a Mergellina, la pietra angolare del Movimento: il primo meet-up di Beppe Grillo. Di Maio entra nel Movimento due anni più tardi, dopo gli studi interrotti a Ingegneria, alcuni lavoretti e l’attività nella società di costruzioni di famiglia, che lo accosta a quelle difficoltà patite dalle imprese, di cui poi accuserà Berlusconi. Negli anni a seguire, l’ascesa di entrambi è costante. Ma il dualismo non tarda ed esplodere quando il Movimento conquista il Parlamento nel 2013.

Lesto come una faina Di Maio che ama il filetto e la tv, riflessivo e schivo Fico, l’ortodosso che non ama i riflettori, preferisce la genovese e inghiotte i bocconi amari che il gemello gli comincia a propinare. È l’era della realpolitik, quella che mette in soffitta le battaglie originarie del Movimento. I Cinque stelle affossano lo Ius soli al Senato. Fico si schiera a favore. Dopo i drammatici sgomberi con gli idranti a Piazza Indipendenza, Roberto inveisce contro Raggi: «Uno Stato così non mi rappresenta». «Allucinante criticare la polizia, giusto che l’immobile venga sgomberato», replica Di Maio. Il Movimento fa retromarcia sulle unioni civili, Fico è a favore delle nozze gay e delle relative adozioni. È il tempo dell’ala nordista del giovane Casaleggio, che comincia a saldare l’asse con la Lega. «Siamo geneticamente diversi e vi garantisco che non faremo mai alleanze con loro», sbarra la porta Roberto. Di Maio invece prende a parlare delle ong come taxi del mare, spara a zero contro gli immigrati rumeni e dopo la strage dell’ex leghista Traini a Macerata, sceglie di silenziare il Movimento per 48 ore. Tutto il Movimento tranne Roberto Fico, che bolla la strage come «atto di «razzismo, ma anche di terrorismo». L’altolà alla Lega è insomma imperioso. Ma Di Maio sceglie come compagno di «sinergia istituzionale» proprio Matteo Salvini. In mezzo a mille contrasti, c’è la notte di Rimini del settembre scorso, dove Fico ha un durissimo scontro con Di Maio, candidato premier ma anche capo politico del Movimento. «Dov’è finito l’uno vale uno, Luigi?», lo affronta a muso duro Roberto. Che medita l’addio ai Cinque Stelle, per poi tornare sui suoi passi dopo una lunga telefonata con Beppe Grillo. È allora che si consuma il suo destino. Uomo libero e terzo, Fico torna in Parlamento come presidente della Camera. Un ruolo perfetto: uomo terzo, sarà il custode di quella grotta di tufo in cui ha scolpito le leggi del Movimento. Il timone intanto resta a destra. Ma chissà che, dopo il lungo tiramolla, non arrivi il ribaltone definitivo. Rotta a babordo, direzione Sud.
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