M5S, base in rivolta Da Belluno a Siena: «Troppi errori, ora dimissioni»

La base in rivolta
La base in rivolta
Sabato 24 Febbraio 2018, 14:05 - Ultimo agg. 18:48
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Dal Veneto alla Toscana fino alla Puglia e la Siciclia, la base del M5S  è letteralmente in rivolta.
«Avevamo ragione noi». Così titola un duro comunicato con cui il M5S Siena denuncia di aver avvisato per tempo i vertici grillini sulla posizione di Salvatore Caiata, il presidente del Potenza calcio indagato per riciclaggio e candidato dai 5 Stelle, ma poi escluso dagli stessi grillini per aver omesso di essere a conoscenza dell'indagine a suo carico da parte della procura senese. «Era evidente che la candidatura di Salvatore Caiata nelle file del Movimento 5 Stelle in Basilicata fosse quantomeno inopportuna. Non tanto per le chiacchiere sul suo conto (quelle lasciano, per adesso, il tempo che trovano) quanto per le sue frequentazioni politiche e imprenditoriali, lontanissime dal modo di essere del MoVimento, oltre al fatto che lo stesso Caiata non lo aveva mai sostenuto o frequentato in precedenza».


«Per questo - si legge nella nota che sta rimbalzando nella base 5 Stelle - ci siamo attivati avendo cura di informare a tempo debito e nei modi previsti, i livelli 'superiorì del Movimento 5 Stelle, regionale e nazionale, relativamente alle possibili problematiche legate a una tale candidatura. Avevamo ragione, ma non ci hanno ascoltato». «Avevamo ragione su tante cose, non solo su questo. I massoni, gli indagati, i candidati scorretti e i «cacciatori di poltrone» che riempiono le liste dei partiti, non possono, non devono far parte delle nostre - attacca ancora il M5S senese - Quindi qualcuno ha sbagliato, e qualcuno deve spiegare, assumendosi la responsabilità dei propri errori». I pentastellati senesi chiedono dunque le dimissioni di chi si è assunto la responsabilità politica di scegliere Caiata. Ma come sempre, a fare quelle scelte è stato uno "staff" senza nomi e cognomi e dunque apparentemente senza responsabilità politiche. «É necessario che chi ha sbagliato faccia un passo indietro», si legge ancora nella nota. «Chiediamo e ci aspettiamo la rinuncia al ruolo di chi ha deciso e, come in altri casi, ha sbagliato: non importa chi e quanto in alto, non importa dove, se in Toscana, in Basilicata o forse addirittura a Roma. Chi ha sbagliato - scrive il M5S Siena pur non facendo nomi - rinunci alla 'caricà, perché il MoVimento non ha bisogno di 'apprendisti stregonì, arroganti quanto poveri di talento, ma al contrario di umili portavoce capaci di ascoltare la base, obbligati a farlo dal principio della democrazia dal basso, e di mettere a frutto l'intelligenza collettiva di un'intera, grande comunità, valorizzando la capillare conoscenza dei fatti e delle persone da parte dei territori».

Ma come Siena, l'Italia è piena di meetup, di circoli grillini che sono arci delusi dalla gestione del Movimento che in due mesi è riuscito a dilapidare un patrimonio di quasi dieci anni d attivismo. Il Veneto è in assoluto una delle terre dove covano i malumori più forti. A Belluno definiscono il M5S il partito di Di Maio: 
«un partito antidemocratico, opaco, politicamente opportunistico e autoreferenziale».

Anche qui le candidature e soprattutto il metodo utilizzato ha spiazzato tutti:
«Il M5S è antidemocratico, in quanto le sbandierate “parlamentarie”, i cui dati tra le altre nessuno ha potuto verificare, sono state un vero bluff.
Infatti, che senso ha far votare in rete per poi “epurare” a giudizio insindacabile del capo. Opaco perché si mettono in croce, al di là dell’indubbio valore simbolico della scorrettezza, i parlamentari sia che abbiano truccato o sbagliato “le restituzioni”, ma niente si dice sui massoni e gli indagati, i “supercompetenti” prescelti da Di Maio. Politicamente opportunistico, considerato che i punti programmatici vengono declinati e adattati alla bisogna ad uso e consumo dell’auditorio di turno; se è funzionale si richiama il PGM costruito e votato in rete, ma poi quello che fa testo e quello depositato (vedi sito Ministero degli Interni) di 20 punti che in buona parte lo smentisce e dove,comunque, non vi è traccia di politiche per la montagna e/o per qualsivoglia forma di autonomia, come del resto conferma Paragone in una intervista. Autoreferenziale perché, ormai, il partito e tutte le decisioni sono appannaggio di pochi “capi bastone”, modalità che tanto piace a D’Incà che da sempre ha cercato di applicarla alla realtà locale. Risultato: nel bellunese come in tante altre località, vedi le tante denuncie e abbandoni che in questi giorni stanno fioccando, il M5S è in via di estinzione. Infine una domanda: ma perché, se è così convinto di aver lavorato tanto bene, non si è candidato all’uninominale ma si è garantito, a meno di una Caporetto, la poltroncina al proporzionale???
». 

Sempre in Veneto, a Villafranca padovana, l'ex candidato sindaco Giorgio Pancotti ha abbandonato il Movimento perchè «non incarna più i suoi valori fondanti».

A Rovereto, Riva del Garda e Arco, in Trentino, terra di Riccardo Fraccaro, i consiglieri comunali, quelli che Beppe Grillo chiamava eroi, hanno deciso di autosospendersi dal M5S. Lo fanno per protesta. «Siamo in estremo imbarazzo», hanno scritto. Il riferimento è alle candidature di Matteo Perini e Cinzia Boniatti. 

In Puglia, dove il M5S è molto ottimista e dove però si è ritrovato con ben tre parlamentari uscenti che revocavano i bonifici delle restituzioni, è pronta una class action contro le decisioni del capo politico Luigi Di Maio. Gli attivisti abituati a processi decisionali più orizzontali o comunque condivisi non capiscono la ratio di tante esclusioni e purghe. «La memoria storica del M5S sta scomparendo: hanno fatto fuori chi col sole e con la neve, e a gratis, ha dato tempo e fatica al Movimento». 

Come riconquistare la base? Per non ora non ci sono molte idee mentre i coordinatori della campagna elettorale stanno facendo fatica a trovare persino i rappresentanti di lista. Per riaccendere il fuoco tra i militanti i vertici hanno escogitato il gioco a premi: vinci un posto sul palco vicino a Beppe Grillo il 2 marzo. Siamo sicuri che basterà?
 
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