Matera, il riscatto del Mezzogiorno: ripartire da qui per il rilancio del sistema-Paese

Matera, il riscatto del Mezzogiorno: ripartire da qui per il rilancio del sistema-Paese
di Mario Ajello
Domenica 20 Gennaio 2019, 09:00 - Ultimo agg. 19:11
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MATERA - Un posto scollegato da tutto, che diventa capitale della cultura d'Europa per il 2019. Un paradosso ma anche una magia. Matera è una specie di Betlemme, scivolata nel fondo dell'Europa. Ed è strapiena di gente - di ogni provenienza e di qualsiasi latitudine e non soltanto il presidente Mattarella e il premier Conte che dice «è doloroso pensare che si arriva quaggiù soltanto in macchina» - arrivata a festeggiare l'anti-spopolamento. Purché duri e non sia l'effetto spettacolare di un giorno o di una breve stagione.
 
Questo sarà l'anno, grazie a Matera capitale, della riscossa del Sud. Lo ripetono tutti dentro i sassi e fuori, nelle grotte diventate trendy, in questo che è stato il set pasolinano del Vangelo secondo Matteo e della Passione di Cristo di Mel Gibson che ha detto ciò che pensano tutti: «Ho subito perso la testa per Matera, perché è semplicemente perfetta». La preistoria e l'innovazione turistico-culturale: un cocktail così, e sono venuti e verranno a berlo da ogni angolo del mondo perché nulla più del glocal è contemporaneo e attrattivo, proietta un posto alla fine del mondo nel centro del mondo. O almeno si spera.

Ed è importante avere scelto adesso Matera come capitale culturale del continente, perché il Mezzogiorno d'Italia sta vivendo uno dei suoi momenti più difficili. Da una parte, c'è la minaccia dell'autonomismo nordista che rischia di aggravare le diseguaglianze tra le due parti dell'Italia e di rafforzare la falsa credenza sul Sud come zavorra del Paese, quando invece tramite politiche ben mirate potrebbe diventare la vera risorsa nazionale. Dall'altra parte, c'è il pericolo, connesso al reddito di cittadinanza, che il cliché del Mezzogiorno assistenzialista s'imponga di nuovo a tutto detrimento di questa parte d'Italia ma anche del resto della Penisola. Perché non c'è bisogno di citare i grandi meridionalisti, o i liberali di ogni risma, per sapere che l'Italia cresce tutta insieme o non cresce davvero.

Matera capitale della cultura europea (la prima città del Sud ad avere questo onore, le altre sono state Firenze, Bologna e Genova) rappresenta per tutti questi motivi un segnale forte per il rilancio della questione meridionale. Che al tempo del governo giallo-verde risulta rimossa, a dispetto dei consensi plebiscitati ottenuti da M5S nel voto del 4 marzo scorso, o comunque non trova quella centralità che meriterebbe nel discorso pubblico e nelle strategie politiche. Matera è quella città che Alcide De Gasperi definiva «una vergogna nazionale» (e almeno in questo Palmiro Togliatti concordava con lo statista democristiano e aggiungeva un aggettivo: «Immonda vergogna nazionale»), per le condizioni in cui viveva tra spelonche e tuguri senza fogne e senza niente la sua popolazione. Ed è diventata poi, con politiche efficaci (la ripopolazione dei Sassi favorita per legge da De Gasperi) e ultimamente grazie a sforzi turistico-culturali-ambientali meritevolissimi, lo scrigno di tutte le potenzialità meridionali in cui storia, tecnologia e intraprendenza economica diventano un mix vincente e un brand italiano - ecco il sovranismo nella sua accezione positiva - capace d'imporsi in Europa e anche nel mondo.

E però, Matera è anche il simbolo del Mezzogiorno con i suoi 22 milioni di abitanti a corto d'infrastrutture. Si stanno per varare, a metà febbraio, le norme per cui le regioni del Nord si tengono il residuo fiscale, mentre i cittadini del Sud in gran parte restano privi di ferrovie veloci e di autostrade, cioè del diritto alla crescita, alla mobilità, alla modernità. A Matera ci si arriva - e così sarà anche dopo l'inaugurazione a maggio della nuova stazione vetro e acciaio firmata e donata dall'archistar milanese Stefano Boeri - con un trenino locale a scartamento ridotto. Non esiste ancora Trenitalia, e sono più o meno quattro ore e mezza da Napoli e sei da Roma. Quasi come al tempo di Giustino Fortunato, costretto a girare a dorso di mulo in queste contrade. E a dispetto di ciò, la pervicacia con cui questo pezzo sperduto di Meridione è riuscito a proporsi come eccellenza dovrebbe spingere il sistema Italia a investire di più per lo sviluppo - Conte ha assicurato investimenti dal palco e girando tra le viuzze di questo luogo paleolitico assetato di futuro - e non in una vecchia logica di mance, da cui la neo-politica non si è del tutto emancipata, ma in un'ottica strategica e virtuosa.

E non c'è sfida più affascinante di quella di far diventare un simbolo dell'età della pietra, con diecimila anni di storia, un frammento qualificante del futuro di una nazione. Non a caso a Matera è in corso per le strade e al museo la mostra di Salvador Dalì, che qui allestì personalmente la sua ultima rassegna e questa ricalca quella, e la concezione surrealista del superamento delle barriere del tempo è appartenuta a questo (opinabile) artista in dosi massicce.

Matera come scommessa italiana e europea, e non c'è niente di più europeista del miglior meridionalismo, serve a sottolineare - unendo storia e tecnologia, occupazione turistico-culturale con innovazione e ricerca nel campo della conservazione dei beni artistici e della loro commerciabilità senza essere schizzinosi o banalmente conservatori - come la sfiducia e lo spopolamento meridionale non sono il destino ineluttabile di questa parte d'Italia. Che è tentata, dall'alto, dal mito paralizzante della decrescita felice. Ma se a questo cede, invece di puntare su investimenti, progetti e grandi opere, il Mezzogiorno costruisce il proprio disastro in nome di una presunta diversità improduttiva.

Matera capitale è insomma un richiamo all'Italia perché contribuisca a dare al Sud una scossa poderosa. Che impedisca di abbandonarlo alle logiche nordiste, e giallo-verdi, dell'ulteriore depauperamento. Un Mezzogiorno come quello del boom turistico-culturale di questa città ancestrale - cui si dedicò in qualche modo anche Luchino Visconti in «Rocco e i suoi fratelli» che racconta il difficile riscatto di una famiglia lucana rifacendosi al tema biblico di Giuseppe e i suoi fratelli rivisto alla luce di Thomas Mann - è il Mezzogiorno che può servire all'Italia e all'Europa. Per riconoscere il proprio ubi consistam. Che non sta nella caricatura degli intellettuali pensosi sulle nuvole del proprio narcisismo e della propria auto-referenzialità da «pensiero meridiano» (e chissà che cosa vuol dire questa vuota formula alla moda) così come sono immortalati dalla strepitosa macchietta del professor Aristogitone a suo tempo inventata da Renzo Arbore.

Il Sud che può ripartire da Matera è viceversa quello che ha il coraggio di mettersi in gioco, di superare i propri limiti, di fare sistema, di darsi una rete, di imporsi come problema politico ed economico cruciale.

Perché senza Sud - non hanno insegnato nulla i libri di storia del compianto Peppino Galasso? - l'Italia non conta niente in campo internazionale. E sventolano le bandiere blu con le stelle comunitarie tra i sassi di Matera in queste ore, si parlano tutte le lingue del continente nelle strade e nei vari spettacoli, si può ascoltare dappertutto l'Inno alla gioia anche in versione folk. In tempi di europeismo in crisi, questa iniezione di fiducia che arriva dalla sprofondo italiano è un rilancio che serve. E guai a perdere l'occasione, come in tante altre circostanze è accaduto, dell'Effetto Matera.

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