Salvini: «Non c'è nessuna crisi ma il decreto resta così»

Matteo Salvini
Matteo Salvini
di Mario Ajello
Venerdì 19 Ottobre 2018, 07:44 - Ultimo agg. 10:00
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«Non posso passare il tempo nei consigli dei ministri. Anche perché i consigli dei ministri li rispetto, quello che viene stabilito lì dentro per me vale, se per gli altri invece si possono decidere cose e poi ribaltarle, sono problemi loro ma significa svalutare quel tipo di riunioni che per me sono fondamentali».

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Matteo Salvini aveva detto di non avere intenzione di partecipare al Cdm di riparazione di domani, in piena baraonda da decreto fiscale. Ma poi ci ha ripensato: se serve ci sarò. Il premier Conte ha convocato la riunione, vuole mostrare la sua forza - se c'è - e la sua capacità di mediazione, un po' più esistente, ma Salvini parla così: «Ho i miei impegni. Certe riunioni vanno concordate non possono essere decise di colpo all'insaputa degli altri. Chiamerò Conte, che è persona squisita, e chiariremo tutto. E se serve che Salvini ci sia, Salvini ci sarà». Cioè si arriverà a un accordo sul testo della pace fiscale, quindi su una sua nuova versione per fare contento Di Maio? «Il testo per me è quello concordato, deciso e firmato. Non possiamo fare giochetti, e dare spettacolo davanti alla Ue che vuole sbranarci».

Non vuole drammatizzare Salvini, anzi definisce lo scontro con Di Maio soltanto «un grande equivoco». Però - tra un comizio e l'altro, qui a Bolzano per la chiusura della campagna elettorale, e le migliaia di selfie - non riesce a sottovalutare il caso e dice di avere una convinzione: «Se modifichiamo il testo della pace fiscale, e io non voglio proprio toccarlo, oltretutto creiamo un precedente pericoloso. Facciamo passare l'idea che ogni decisione è revocabile e che è tutto uno scherzo. Non si può lavorare a una cosa, faticarci sopra e confrontarsi, e poi trovata l'intesa quell'intesa viene impugnata da chi l'ha fatta. Dobbiamo essere seri».

Conte vuole mettere pace tra Di Maio e Salvini. «Ma più che mettere pace - incalza - sarebbe meglio non provocare a Conte questi problemi e non sono certo io a suscitarli». E comunque, la modifica? «Vediamo, ma io ripeto: sono contrario». Ora sale sul palco, il vicepremier. Poi altri selfie. L'odore che si percepisce però, non qui ma a Roma, è quello della verifica. «Della che cosa?». Della verifica di governo tra M5S e Lega, non si può mica andare avanti così... «Andremo avanti, invece. E non esiste assolutamente la crisi di governo. Quanto alla verifica, il suo odore sa di muffa. Preferisco di gran lunga quello delle caldarroste e dei funghi».

Ora Salvini parla al telefonino. Era Di Maio? «No, non ci siamo sentiti». Ma poi si sentiranno. Non litigheranno («non lo facciamo mai») ma stavolta il trauma è forte e bisognerà vedere in che modo Di Maio potrà evitare di andare in procura a denunciare chissà chi. Salvini vuole andare dritto su tutto, dal decreto fiscale alla legge sulla legittima difesa che ai 5Stelle non piace, e insiste: «Invece di dare spettacolo, dobbiamo risolvere, è già lo stiamo facendo, i problemi dei cittadini». E Conte? «Bisogna aiutarlo, non creargli altri problemi. Questa storia delle manine e delle manone è assurda. Non ci sono regie occulte, invasioni degli alieni o scie chimiche! Io cerco di vedere la realtà e non faccio trabocchetti, non faccio sgambetti, non credo ai fumetti. E se c'è chi crede alle teorie del complotto, io non sono mai stato tra questi». Cioè i 5Stelle. Non è un tipo che s'arrabbia Salvini, e sembra tranquillissimo come al solito in mezzo alla gente e al profumo di una nuova vittoria elettorale in Trentino e Alto Adige. Però ieri mattina, con qualche interlocutore, si sarebbe sfogato così a proposito di M5S: «Sono ridicoli. Non sanno neanche che cosa leggono e che cosa firmano».

«Noi - incalza ora Salvini - abbiamo sempre sinceramente appoggiato le proposte di M5S. Ci atteniamo al Contratto di governo sempre e comunque. Quello è la vera garanzia per tutti, ma va rispettato da tutti». In ogni caso, tra domani e dopodomani, i due dioscuri dovrebbero vedersi, e trovare una via d'uscita condivisa. Perché né Di Maio né Salvini hanno interesse in questo momento a fare saltare il banco. Luigi per ovvi motivi di crisi di consenso, almeno secondo i sondaggi, e Matteo perché ha bisogno di (relativa) tranquillità per giocarsi bene i 190 giorni che mancano da qui alle elezioni europee di maggio. Intanto, Salvini non ci sta ad essere considerato il leader di un partito di «manipolatori», non vuole toccare il decreto fiscale e non vuole minimamente la crisi di governo. Sul punto numero due, di questi tre, si troverà probabilmente un qualche rattoppo. Ma anche questa, come la verifica, è parola da vecchia politica.
 
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