Nessuna richiesta personale, al massimo è la Lega che avanza rivendicazioni. Matteo Salvini attende di capire le mosse di Giorgia Meloni. Ieri ha fatto diramare una nota alquanto criptica. «Mattinata e pomeriggio di incontri e colloqui di Salvini, pronto a un incarico di governo, con esponenti dell’industria, del commercio e dell’agricoltura. Al centro dei confronti soprattutto il caro bollette che resta una priorità per la Lega». Messaggio che denota l’impazienza per la cautela del presidente di Fdi che non ha ancora fatto avere risposte agli alleati. Al momento il “desiderio” resta il Viminale. Ma in realtà si valuta anche il piano B. Perché il Capitano intanto ha inteso le dichiarazioni del premier in pectore – «il governo non sarà composto per risolvere beghe interne di partito» – come un avviso proprio alla Lega. E anche sul ruolo dei tecnici la risposta dietro le quinte è netta: nessun pregiudizio, l’importante è che siano a carico di FdI. Poi sulla possibilità che sia proprio la Meloni a selezionare gli esponenti della Lega da far entrare nel governo la reazione è un «no grazie, abbiamo già dato con il governo Draghi».
In realtà, per ora, il clima viene comunque considerato positivo.
Di sicuro Salvini punta a fare il vicepremier, la considera una via quasi scontata. E poi? Se non sarà il Viminale allora l’Agricoltura? Le Infrastrutture? Ministeri appetibili, con dossier che richiedono ampia conoscenza della materia. Ma la spinta è che senza il Viminale l’exit strategy debba essere una sorta di mossa del cavallo per risolvere tutti i problemi: legare i malpancisti, da Zaia a Bossi, sempre più al partito, rilanciare in maniera forte la Lega sul territorio e trovare per Salvini una collocazione che potrebbe permettergli di avere i riflettori addosso e di girare il territorio. Come? Ministro dell’Autonomia, come fu in passato Bossi. È il suggerimento che arriva al segretario da molti big. Il leader per ora è irremovibile. Anche perché prendere il testimone della Gelmini, a suo dire, comporterebbe dei rischi enormi. Il sospetto intanto è che con la Meloni a palazzo Chigi sarà difficile issare la bandierina da sempre cara alla Lega. E poi la promessa fatta al governatore Zaia è quella di chiedere il dicastero per un veneto. Anche se non ha individuato chi.
Di sicuro Salvini punta a fare il vicepremier, la considera una via quasi scontata. E poi? Se non sarà il Viminale allora l’Agricoltura? Le Infrastrutture? Ministeri appetibili, con dossier che richiedono ampia conoscenza della materia. Ma la spinta è che senza il Viminale l’exit strategy debba essere una sorta di mossa del cavallo per risolvere tutti i problemi: legare i malpancisti, da Zaia a Bossi, sempre più al partito, rilanciare in maniera forte la Lega sul territorio e trovare per Salvini una collocazione che potrebbe permettergli di avere i riflettori addosso e di girare il territorio. Come? Ministro dell’Autonomia, come fu in passato Bossi. È il suggerimento che arriva al segretario da molti big. Il leader per ora è irremovibile. Anche perché prendere il testimone della Gelmini, a suo dire, comporterebbe dei rischi enormi. Il sospetto intanto è che con la Meloni a palazzo Chigi sarà difficile issare la bandierina da sempre cara alla Lega. E poi la promessa fatta al governatore Zaia è quella di chiedere il dicastero per un veneto. Anche se non ha individuato chi.