Meloni prepara discorso della fiducia, domani alla Camera e mercoledì al Senato: cos'è e come funziona il voto

Meloni perpara discorso della fiducia, domani alla Camera e mercoledì al Senato: cos'è e come funziona il voto
Meloni perpara discorso della fiducia, domani alla Camera e mercoledì al Senato: cos'è e come funziona il voto
di Fausto Caruso
Lunedì 24 Ottobre 2022, 11:08 - Ultimo agg. 22:45
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L’uscita dallo scalone di Palazzo Chigi tra gli applausi del personale ha segnato ufficialmente la fine del governo di Mario Draghi, che poco prima aveva passato a Giorgia Meloni la campanella con cui aprire la prima riunione del Consiglio dei Ministri.

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«Abbiamo scritto la storia, ora scriviamo il futuro» ha twittato subito dopo la leader di Fratelli d’Italia, accompagnata dai post dei suoi ministri che si mostravano “pronti”, come da slogan elettorale, a mettersi subito al lavoro. Al governo Meloni manca però ancora un passaggio per poter entrare nel pieno delle sue funzioni: la fiducia in Parlamento, che l’esecutivo chiederà martedì alla Camera e Mercoledì al Senato.

E la premier sta preparando in queste ore il suo discorso.

Che cos’è il voto di fiducia

L’Italia è una Repubblica parlamentare, ciò significa che il Parlamento è il cuore del nostro ordinamento istituzionale e l’organo a cui il premier e i ministri devono rispondere. Al di là degli slogan elettorali, infatti, i cittadini italiani non eleggono il governo, ma solo i loro rappresentati in Parlamento che poi esprimono l’esecutivo e lo sostengono proprio attraverso il voto di fiducia. Senza quest’ultimo il governo non può esercitare la sua funzione fondamentale di indirizzo politico perché ogni proposta di legge deve essere approvata da entrambe le camere per entrare in vigore.

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Il voto di fiducia è regolato dall’articolo 94 della Costituzione, che prevede una votazione per «appello nominale» e con «mozione motivata». Ciò significa che ogni parlamentare è chiamato e esprimere in maniera palese il suo voto a favore o contro l’esecutivo, motivando la decisione. Questo meccanismo serve a far sì che ogni gruppo parlamentare si assuma la responsabilità politica delle proprie scelte, nonché a evitare franchi tiratori all’interno dei gruppi di maggioranza o misteriosi aiuti dall’opposizione, come abbiamo visto avvenire in occasione dell’elezione del presidente del Senato, che avviene invece a scrutinio segreto. La fiducia si intende incassata se in entrambe le camere l’esecutivo ottiene l’appoggio della maggioranza semplice, ovvero la metà più uno dei votanti. Motivare la propria scelta serve a far sì che si abbiano le premesse per una maggioranza stabile. In caso di mancata fiducia il governo appena nominato deve rassegnare le dimissioni nelle mani del presidente della Repubblica, che procederà quindi a nuove consultazioni con i partiti.

La questione di fiducia e la mozione di sfiducia

Dopo aver ottenuto la fiducia iniziale, il governo è nel pieno delle sue funzioni e nel corso della legislatura non cade qualora il Parlamento esprima un voto contrario su un suo singolo provvedimento. Discorso diverso se su una proposta di legge viene posta la questione di fiducia. In questo caso vengono azzerati tutti gli emendamenti proposti in sede di dibattito parlamentare e il testo della proposta viene votato così come presentato dall’esecutivo, che vi lega il suo destino. In caso di voto contrario da parte di Camera o Senato su una questione di fiducia, infatti, il governo deve rassegnare le dimissioni. Questo istituto nasce con l’intento di ricompattare la maggioranza nei momenti di difficoltà, ma sempre più spesso nelle scorse legislature è stato usato al solo scopo di velocizzare l’iter parlamentare, che spesso richiede mesi di discussione prima di approvare una legge.

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Al contrario dal Parlamento può arrivare anche una mozione di sfiducia nei confronti dell’esecutivo. In questo caso la proposta deve essere firmata da almeno un decimo dei componenti della camera che la propone e non può essere votata prima di tre giorni dal suo deposito. Se la mozione ottiene la maggioranza dei voti il governo deve dimettersi perché ha perso il requisito fondamentale della fiducia del Parlamento. In Italia però non si è mai arrivati a un caso simile perché i presidenti del Consiglio si sono sempre dimessi non appena diveniva chiaro che la maggioranza a loro sostegno era venuta a mancare, senza mai arrivare a farsi votare una sfiducia esplicita. Benché non sia prevista da alcuna legge, negli anni si è consolidata anche la mozione di sfiducia nei confronti del singolo ministro, che se approvata porta solo a un rimpasto, con la sostituzione del ministro in questione, e non alla caduta dell’intero esecutivo.

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Discorsi che per ora non interessano a Giorgia Meloni, che è stata indicata come presidente del Consiglio da un’ampia maggioranza di centrodestra che rende solida la sua presa su Palazzo Chigi. A meno di liti tra alleati, beninteso.

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