Ministri Meloni, dalla sovranità alimentare alla tutela delle imprese: precedenza al made in Italy

Ministri Meloni, dalla sovranità alimentare alla tutela delle imprese: precedenza al made in Italy
Ministri Meloni, dalla sovranità alimentare alla tutela delle imprese: precedenza al made in Italy
di Alberto Gentili
Sabato 22 Ottobre 2022, 08:00 - Ultimo agg. 10:20
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Doveva essere «lampo» e lampo è stato. Non doveva spaventare le cancellerie europee e il governo di Giorgia Meloni, prima donna a espugnare palazzo Chigi, non le spaventa: i ministeri sotto i riflettori di Bruxelles e degli alleati atlantici, dagli Esteri all’Economia, dalla Difesa agli Interni, saranno guidati da Antonio Tajani, Giancarlo Giorgetti, Guido Crosetto, Matteo Piantedosi. 

E nessuno dei quattro ha curriculum o posizioni che potrebbero preoccupare Bruxelles o Washington. Sia sul fronte dei conti, sia su quello della guerra in Ucraina e delle politiche per la sicurezza. Eppure, c’è un evidente tocco identitario e sovranista nella squadra tirata su dalla leader di Fratelli d’Italia. Soprattutto nella denominazione dei vari dicasteri.  

Il ministero dello Sviluppo economico, andato ad Adolfo Urso (FdI), d’ora in poi si chiamerà «delle imprese e del Made in Italy». Vecchio pallino, quest’ultimo, di Giorgia. Solo un ritocco al nome dell’Agricoltura, cui viene aggiunta la «sovranità alimentare». «Difenderemo i nostri prodotti», è corso a dire il nuovo ministro Francesco Lollobrigida (FdI). «È come in Francia», ha certificato Lorenzo Pregliasco. Il dicastero alla Scuola (al leghista Giuseppe Valditara) prende la denominazione «dell’istruzione e del merito». Altro evergreen di Meloni. Il ministero dell’Ambiente (al forzista Gilberto Pichetto Fratin) sarà pure alla «sicurezza energetica». E quello agli Affari europei, dove va Raffaele Fitto (FdI), si chiamerà anche delle «politiche di coesione territoriale e del Pnrr»; mentre il ministero del Sud destinato a Nello Musumeci (FdI) assocerà la denominazione «politiche del mare». Meloni l’aveva promesso in campagna elettorale e l’ha fatto. Infine la Famiglia, andata a Eugenia Roccella (FdI) si occuperà anche di «natalità». 

C’è poi da dire che la squadra ha due vicepremier (Salvini e Tajani: quest’ultimo utile in caso di spappolamento di Forza Italia) e conta appena 6 donne (inclusa la premier). Erano 8 nel governo di Mario Draghi.

In più l’esecutivo è marcatamente meloniano. Ha un’evidente impronta della leader. Giorgia - che ha dato 10 ministeri al suo partito, 5 alla Lega, 5 a Forza Italia, più 4 tecnici puri (secondo le previsioni dovevano essere di più) - ha voluto accanto a sé gli amici di una vita e i consiglieri più fidati: il cognato Lollobrigida, il consigliere Crosetto, i compagni di mille battaglie come Urso, Luca Ciriani (Rapporti con il Parlamento), Musumeci. E amici più recenti, ma ormai saldamente nell’inner circle di Meloni: Fitto, Carlo Nordio (Giustizia), Daniela Santanché (Turismo) e il direttore del Tg2 Gennaro Sangiuliano (Cultura).  

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Per riuscire nell’impresa, la premier ha dovuto mostrare i muscoli e domare Silvio Berlusconi. La partita più feroce si è giocata sull’esclusione di Licia Ronzulli, fortissimamente voluta dal Cavaliere. E sulla Giustizia: l’anziano leader forzista ha lottato, anche ricorrendo a colpi bassi, per piazzare a Via Arenula Elisabetta Casellati. Ma Meloni non si è lasciata impressionare e ha nominato Guardasigilli il “suo” Nordio. Altra sportellata a Forza Italia è avvenuta sullo Sviluppo economico (ora delle imprese e del Made in Italy). Anche questo dicastero, secondo i piani del Cavaliere doveva finire a FI, invece è andato a Urso. Il partito azzurro ha conservato la delicata delega all’energia per Gilberto Pichetto Fratin, ma solo perché Roberto Cingolani non ha voluto fare il commissario straordinario. Non senza un ulteriore intoppo: Pichetto Fratin era stato destinato alla Pubblica amministrazione, ma quando Paolo Zangrillo (fratello del medico personale di Berlusconi) ha scoperto di essere diventato ministro dell’Ambiente ha chiamato il Cavaliere rinunciando all’incarico. Spiegazione: «Non sono competente». Così è finito alla Pa scambiandosi con Pichetto Fratin. 

Diverso il discorso per la Lega. Nel momento in cui Berlusconi ha caricato a testa bassa, a colpi di audio pro-Putin e di velati ricatti, Matteo Salvini ha deciso di schierarsi con Meloni. E questo asse ha portato al Carroccio ministeri ben più pesanti di quelli andati a FI. Certo, Giorgetti all’Economia (draghiano doc) è una scelta della premier, però Salvini ha capito che gli conveniva intestarselo. E se ha perso dopo mille tentativi il Viminale, in quel posto è stato nominato il prefetto di Roma, Piantedosi, già suo capo di gabinetto quando il leghista governava (dal 2018 al 2019) gli Interni. Inoltre, pur perdendo l’Agricoltura, Salvini ha incassato per sé le Infrastrutture e i trasporti (buon palcoscenico), ed è riuscito a tenere l’Istruzione. Nella spietata legge delle poltrone non ha trovato posto Maurizio Lupi di “Noi moderati”. Ma i centristi saranno “compensati” quando si giocherà la partita dei viceministri e dei sottosegretari. 

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