Muccino dopo 12 anni a Hollywood: «Italia incattivita, non guarda avanti»

Muccino dopo 12 anni a Hollywood: «Italia incattivita, non guarda avanti»
di Titta Fiore
Domenica 24 Giugno 2018, 08:54
4 Minuti di Lettura
Dopo dodici anni a Hollywood, Gabriele Muccino ha voglia di recuperare quel che si era lasciato alle spalle. Il tempo, il modo di vivere, il suo Paese, con tutti le luci e le ombre. Un Paese che in quei dodici anni, dice, ha cambiato pelle. Già con «A casa tutti bene», il film sulla famiglia girato a Ischia con un cast stellare, si è ripreso il pubblico che era suo, cresciuto all'ombra delle sue storie d'amore e sentimenti forti. Ora, galvanizzato dal bel risultato al botteghino, si è subito messo a scrivere una nuova sceneggiatura, ancora top secret. Premiato alla carriera a «Filming Italy», il nuovo festival di cinema organizzato a Forte Village, in Sardegna, dice solo: «Sarà una storia che racconta tanta Italia. Di oggi e di ieri. La storia di una lunga amicizia». Ma aggiunge: «Le prime due fasi della mia carriera sono state a loro modo eccezionali: il successo de L'ultimo bacio prima, la visibilità planetaria che non mi sarei mai sognato ottenuta grazie a La ricerca della felicità con Will Smith poi... Ora devo trovare il modo di reinserirmi in un Paese che nel frattempo è molto cambiato».

Com'era, quando decise di trasferirsi a Los Angeles, e com'è ora la sua Italia?
«Nel 2005 ho lasciato un Paese in salute, certo c'era Berlusconi che faceva un po' di pasticci, ma nel complesso era un Paese ridente. E così mi apparivano gli Stati Uniti. Quando girai il mio primo film americano, che era appunto La ricerca della felicità, affrontai il tema della povertà, ma non si sentiva ancora lo spettro della crisi. Nel 2007 arrivò uno tsunami, una crisi finanziaria mai vista, eppure in quella fase ho visto gli americani dare il meglio di sé. Aggrediti da difficoltà pesantissime, sono stati capaci di uno scatto di reni che li ha aiutati a risorgere. In Europa, invece, danzavano sull'orlo dell'abisso senza accorgersene. Sono accadute delle cose di cui, lontano com'ero per lavoro, non ho visto la genesi».

Quando ha capito che il vento era cambiato?
«Il Vaffa Day è stato come uno spartiacque. Mi sconvolse. In America se dici fuck, vai a quel paese, davanti ai figli piccoli vieni considerato un untore. E se nei film si sente più di una parolaccia arriva subito il divieto ai minori. La violenza verbale di Grillo mi colpì moltissimo».

E oggi, qual è la sua sensazione davanti all'ennesimo cambiamento di scenario socio-politico?
«Oggi l'Italia mi sembra un Paese molto incattivito. Faccio fatica a comprendere la logica del tutti contro tutti, fino al 2010, l'anno in cui girai Baciami ancora, non c'era questa assenza assoluta di morale. Ormai si parla solo per slogan, la dialettica è azzerata e tutti finiscono per dire le stesse cose. L'Italia è un Paese apatico e rancoroso: questo è un dato di fatto. Un fenomeno che non riguarda solo noi, ma anche diversi altri Paesi».

 

Che cosa la colpisce di più: le polemiche sulla gestione dei migranti, lo scontro sul futuro delle politiche comunitarie, le divisioni interne?
«L'Italia è un Paese che non guarda avanti e questo mi fa effetto. Da noi succede il contrario di quel che ho visto accadere in America dopo la crisi: là sono stati capaci di ripartire dall'abisso. Ho visto le vetrine dei negozi del lusso di Rodeo Drive sbarrate con le travi di legno e due anni dopo ho visto i gestori toglierle e ricominciare daccapo. Ho avvertito una diversa percezione del futuro, un rovesciamento di prospettiva: in America il governo è affidato alla capacità degli individui, noi ci affidiamo ancora all'idea dell'uomo forte che ci salverà, un'idea pericolosa. Siamo molto capaci, veloci, all'estero sappiamo farci valere con onore, ma sotto sotto restiamo subalterni».

Negli Stati Uniti ha imparato a dominare la grande macchina hollywoodiana, a lavorare confrontandosi con le major, eppure a un certo punto ha deciso di tornare. Perché?
«Già dai tempi de L'estate addosso, nel 2016, volevo traghettarmi fuori da un sistema da cui non era facile uscire. A Los Angeles ogni settimana ti spediscono cinque-sei copioni da leggere, ti arriva addosso un muro, ma la mortalità dei progetti è altissima. Quest'anno sono usciti film che ho letto in sceneggiatura nel 2006, come The Mountain Between Us» con Kate Winslet... Volevo tornare a fare film scritti da me».

In altre parole il cinema di alto artigianato ha vinto sull'industria.
«Soprattutto, mi mancava il modo di vivere in Italia. La condivisione di un background, la convivialità, il fatto di ridere delle stesse cose sono tesori che stavo smarrendo. Dopo le riprese di Padri e figlie una sera mi capitò di andare a cena da Giovanni Veronesi e di ridere tanto, di pancia. Mi chiesi: da quanto tempo non rido così? A Hollywood molto è legato a quanto hai e a che cosa hai fatto ieri. Già l'altro ieri non interessa a nessuno».
 
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