Quirinale, Caldoro: «Nel 2013 non c'erano nomi adesso Berlusconi e Draghi»

Quirinale, Caldoro: «Nel 2013 non c'erano nomi adesso Berlusconi e Draghi»
di Generoso Picone
Sabato 18 Dicembre 2021, 09:53
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«Tutti i nomi erano saltati, prima quello di Franco Marini e poi di Romano Prodi. La situazione appariva irrimediabilmente bloccata e nessuno riusciva a immaginare una via d'uscita praticabile. Fu allora che decidemmo di farci promotori di una iniziativa probabilmente senza precedenti: chiedemmo al presidente uscente Giorgio Napolitano di essere ricevuti al Quirinale per convincerlo ad accettare un secondo mandato». Nella seconda metà di aprile del 2013 Stefano Caldoro era presidente della giunta regionale della Campania, dunque uno dei grandi elettori chiamati a scegliere il nuovo capo dello Stato. Dal 1992 al 1994 e quindi dal 2008 al febbraio 2013, aveva svolto il compito di deputato alla Camera, con il Psi e dopo con Forza Italia, dunque poteva vantare due esperienze parlamentari decisamente significative nell'individuazione del presidente della Repubblica. Ma lo scenario politico di quella primavera inoltrata si presentava con un profilo di inedita difficoltà, tale da minacciare una crisi che avrebbe avuto ripercussioni lungo l'intera catena istituzionale. Insomma: insostenibile.

Caldoro, fu questa la motivazione della vostra iniziativa?
«Con Vasco Errani, il presidente della conferenza delle Regioni e delle Province autonome, riflettemmo a lungo e decidemmo di intraprendere un'azione in assoluta indipendenza politica.

La preoccupazione che ci muoveva era di tipo istituzionale e lasciammo da parte ogni valutazione di parte. A Napolitano riconoscevamo l'autorevolezza e il livello con cui aveva ricoperto l'incarico di capo dello Stato in un settennato che comunque lo aveva visto svolgere anche un ruolo di grande caratterizzazione politica, più diretto e partecipe, tanto da influenzare il terreno di gioco dei partiti. Avevamo di fronte uno stallo, la sintesi ci sembrava impossibile a trovarsi e allora noi governatori di centrodestra e centrosinistra scegliemmo di compiere un passo in avanti».

Napolitano come reagì?
«Ci ascoltò. Non aprì una interlocuzione con noi perché non avrebbe potuto mai farlo, registrò il nostro allarme e sono certo che i contenuti che esponemmo contribuirono a portarlo a rettificare la sua posizione. Perché Napolitano non aveva alcuna intenzione di essere confermato alla presidenza. La sua volontà era stata già chiaramente annunciata».

Ci ripensò, pur in una decisione sofferta, e il 22 aprile venne rieletto capo dello Stato.
«Nell'aprile di 19 anni prima era stato nominato presidente della Camera all'interno di una operazione avviata nel maggio 1992 con l'elezione al Quirinale di Oscar Luigi Scalfaro. La prima a cui io avevo partecipato come parlamentare socialista».

Il 1992 era stato un altro anno complicato.
«L'anno della fine della Prima Repubblica. L'elezione avvenne alla vigilia dell'apertura della convulsa fase di Tangentopoli, che avrebbe visto Bettino Craxi e il Psi sotto attacco. Io sarei stato sul fronte dello scontro, nella segreteria del partito e al fianco di Craxi. Nel 1992 c'erano stati i primi contrasti a sinistra, sulle elezioni dei vertici delle assemblee del Senato e della Camera non c'era stato l'appoggio del Pds e il nome su cui avevamo raggiunto una intesa con la Dc era stato quello di Arnaldo Forlani. Poi verificammo diversi pareri».

Intende franchi tiratori?
«No, proprio correnti organizzate all'interno della Dc e del Psi. Craxi tenne il punto. Ricordo quando durante una cena di noi socialisti campani arrivò Paolo Cirino Pomicino a comunicare a Carmelo Conte che Forlani si era ritirato e che era in previsione un tentativo di Giulio Andreotti. Il giorno dopo ci fu l'attentato a Capaci e il clima cambiò completamente. Il Pds, che era stato ostile a Oscar Luigi Scalfaro perché ritenuto un cattolico integralista, mutò parere, come spesso faceva, per realpolitik, opportunismo o cinismo. Così Scalfaro fu eletto al Colle e si liberò il posto di presidente della Camera per Napolitano».

Frangenti complicati ci sono sempre stati attorno alla scelta per il Quirinale. Vede un ripetersi di un momento del genere? Come Napolitano nel 2013 potrebbe ritornare sui suoi passi anche Sergio Mattarella?
«Oggi le condizioni sono diverse. Mattarella ha detto in maniera chiara ciò che ritiene giusto fare, anche se così come capitò con Napolitano in politica tutto è possibile. Lui è stato un ottimo presidente, nel 2015 prevalse su Giuliano Amato, ma dopo ha saputo conquistare consensi unanimi. Comunque, non abbiamo il quadro di allora. Ora nomi di candidati attendibili per il Quirinale ci sono».

Quali?
«Silvio Berlusconi e Mario Draghi. Da entrambi non c'è ancora stato un pronunciamento formale, ma credo non si possa ignorare che ben 7 sondaggi delle maggiori agenzie di rilevazione confermano che al primo posto c'è Draghi, al secondo Berlusconi e poi nessun altro. Mario Draghi è chiamato a guidare il governo per condurre l'Italia fuori dalla crisi, non lo tirerei per la giacca e però non sarebbe uno scandalo immaginarlo al Quirinale. In ogni caso, il centrodestra è chiamato a essere compatto e non ha senso un centrodestra che non si riconosca pienamente in Berlusconi. Si vedrà».
 

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