Sanità, se il male delle nomine sta nella politica

di Raffaele Cantone
Lunedì 22 Aprile 2019, 09:00
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Come un fiume carsico che periodicamente riappare, l'inchiesta della Procura di Perugia sui concorsi in ambito sanitario fa tornare d'attualità l'annosa questione delle ingerenze politiche in un settore tanto delicato. Senza scomodare gli scandali dei tempi di Mani pulite, nata proprio da un'indagine in questo campo, solo a limitarsi agli ultimi anni una inchiesta simile ha azzerato l'estate scorsa la giunta lucana (era già accaduto in Abruzzo nel 2008), un ex consigliere lombardo ha patteggiato una condanna per tangenti connesse all'esternalizzazione dei servizi odontoiatrici e un ex governatore di quella stessa regione sta scontando in carcere una condanna per corruzione, anch'essa collegata al tema degli accreditamenti.

Non c'è da meravigliarsi, considerando l'entità degli interessi che ruotano attorno a un settore così vitale nel vero senso della parola. Del resto, quale ambito è in grado di incidere sulla vita quotidiana più della salute? Quale argomento ha una presa tanto forte sull'elettorato?

Questa rilevanza genera non solo interessi di tipo economico (si pensi alla spesa per gli approvvigionamenti) ma ha anche risvolti clientelari, perché controllare la sanità consente di dispensare un'enorme quantità di favori. E le assunzioni nei posti chiave servono proprio a questo, essendo una formidabile leva per assicurarsi il consenso.

Ecco allora, come ha svelato l'inchiesta, che i vertici politici cercano di piazzare i loro protégé col beneplacito dei direttori che curano le procedure concorsuali (da loro stessi designati), i quali acconsentono con l'intento di essere confermati nell'incarico. La politicizzazione delle nomine in campo sanitario, che rischia di far prevalere l'affiliazione sul merito, è dunque l'origine del circolo vizioso che occorre avere il coraggio di spezzare.

Malgrado tutti i partiti abbiano sempre biasimato queste interferenze e annunciato l'intenzione di intervenire, il problema non è mai stato affrontato radicalmente. Il tentativo più serio è contenuto in uno degli ultimi atti varati dal governo Monti pochi giorni prima di lasciare il passo all'esecutivo Letta, nella provvidenziale disattenzione generale: il d.lgs. 39/2013, che regola inconferibilità ed incompatibilità delle cariche. Per evitare pericolosi cortocircuiti con la politica, la norma stabilisce un'apposita disciplina per le Asl, prevedendo che non possa essere nominato direttore (generale, sanitario o amministrativo) chi negli anni precedenti sia stato ministro, parlamentare, consigliere regionale, sindaco o anche solo candidato nel collegio elettorale in cui l'ente ricade. Eppure tale disposizione che, non avrebbe dovuto nemmeno essere prevista, tanto è scontata ma che in questi frangenti mostra tutta la sua lungimiranza, non solo è stata oggetto di critiche vibrate (ed interessate) ma persino di proposte di abrogazione.

Nel 2015 anche l'Anac è intervenuta sul tema con un apposito capitolo dell'aggiornamento al Piano nazionale anticorruzione, individuando in ambito sanitario le aree maggiormente esposte al rischio e le relative misure preventive, specie in tema di incarichi e nomine: un altro piccolo seme gettato nel terreno, nella speranza che i suggerimenti forniti siano accolti.

Si torna in ogni caso al punto di partenza: finché le nomine dei vertici saranno di spettanza politica, le altre pur opportune regole serviranno a poco, perché le logiche clientelari rischieranno di avere la meglio.

Quanto il livello attuale sia pervasivo lo dimostra proprio l'inchiesta umbra, dove le raccomandazioni non si limitavano all'assunzione dei primari ma anche degli infermieri. Tutto ciò non è senza conseguenze: a Perugia un candidato esterno per il reparto di Rianimazione è stato prima penalizzato alla prova scritta del concorso e poi, si è scoperto, non è stato nemmeno convocato agli orali.

La corruzione può portare anche a questo: alla scelta non del migliore ma di chi ha gli agganci giusti. I cittadini, così, non solo perdono l'occasione di avere a disposizione un eccellente primario attraverso le tasse che pagano, ma rischiano perfino di ritrovarsi con uno non necessariamente capace, con tutte le conseguenze facili da immaginare sul piano della competenza e (purtroppo) pure dei pericoli per la salute dei pazienti.

Basterebbe una simile considerazione, a mio avviso, per chiedere alla politica di restare lontana anni luce da nomine e designazioni in questo settore.
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