Nuovo dpcm, Caselli: «Liquidità per le imprese e investimenti nella didattica»

Nuovo dpcm, Caselli: «Liquidità per le imprese e investimenti nella didattica»
di Rita Annunziata
Lunedì 2 Novembre 2020, 20:00
5 Minuti di Lettura

Coprifuoco anticipato, restrizioni alla mobilità e chiusura delle scuole in base all’indice di contagiosità locale. Sono solo alcune delle principali misure discusse nell'ambito del vertice tra governo, regioni, comuni e province in attesa del nuovo dpcm, in dirittura d’arrivo nella giornata di martedì. Stando a quanto rivelato dal ministro della Salute Roberto Speranza, «l’asticella nazionale» potrebbe essere alzata su «alcuni punti condivisi», ma i livelli di intervento potrebbero essere fortificati anche a livello territoriale. Per Stefano Caselli, prorettore per gli affari internazionali dell’Università Bocconi, è il momento di intervenire con «liquidità immediata» per imprese e lavoratori. Senza dimenticare l’istruzione. 

Video

Il Comitato tecnico scientifico, convocato nella giornata di sabato, ha dichiarato che al momento non sussistono le condizioni per un lockdown nazionale o regionale, ma ha suggerito la necessità di restrizioni a livello provinciale laddove necessario. Nell’occhio del ciclone, tra le altre, Milano e Napoli. Ma le regioni chiedono misure uniformi per tutta l’Italia. Cosa significherebbe per le imprese e i lavoratori, in parte già colpiti dalle ultime restrizioni?

«Che si vada verso lockdown parziali a livello provinciale, regionale o nazionale, è chiaro che le imprese e i lavoratori si troveranno sicuramente in difficoltà.

A mio parere questa volta è decisivo che lo Stato intervenga soprattutto con liquidità, ma liquidità immediata sul conto corrente, che da un lato compensi più o meno il fatturato perso e dall’altro sostenga i lavoratori con il divieto di licenziamento. Ma c’è un tema ulteriore. Nel medio termine potremo recuperare terreno soltanto se le aziende si capitalizzano e ci vorranno gli incentivi fiscali per farlo».

In questi mesi i cittadini hanno sentito parlare di Mes, Recovery fund, poi le garanzie statali, i contributi a fondo perduto, ma non solo. Domina la confusione. Cosa devono attendersi entro la fine dell’anno e l'inizio del 2021?

«Andiamo per gradi. Il Mes è una linea di credito disponibile da parte dell’Europa per investimenti nel settore sanitario. La mia riflessione su questo fronte è che ci stiamo avviando impreparati verso questa seconda ondata. Ci sono migliaia di medici e infermieri eccezionali, ma tantissimi ospedali sono già al collasso. In un contesto del genere, non usare il Mes per una partita di natura politica e per un ingiustificato timore di intrusione da parte dell’Europa, inizio a trovarlo irresponsabile. Quanto al Recovery fund, invece, l’Europa ha messo a disposizione 209 miliardi di euro, una parte a fondo perduto e una parte con un prestito a 30 anni. C’è massimo riserbo, ma a breve l’Italia dovrebbe dichiarare le modalità in cui queste risorse verranno utilizzate e l’Europa valuterà entro fine gennaio l’accettabilità delle richieste e inizierà a fornire soldi nell’arco di due anni, che potranno coprire spese già effettuate. Sul terzo fronte, infine, l’Europa ha permesso agli Stati di non rispettare i parametri di spesa, quindi se il nostro Paese decide di spendere più soldi e accumulare più debito lo può fare, lo sta già facendo. Ma in questa fase, tra novembre e dicembre, ribadisco che la cosa migliore per tutti sia far arrivare liquidità direttamente alle aziende più colpite».

Gli universitari, intanto, percepiscono un senso di abbandono. Cosa pensa delle misure dispiegate sul fronte dell’istruzione?

«L’istruzione, in realtà, copre tre mondi completamente diversi: elementari e medie, licei e università. Per quanto riguarda elementari e medie sono convinto che, con tutte le misure di sicurezza possibili, debbano essere le ultime a chiudere per due motivi. Innanzitutto perché i ragazzi più piccoli fanno sicuramente più fatica a seguire da casa e ci sarebbero differenze sociali totalmente ingiuste, tra coloro che possono essere seguiti e coloro che invece riportano una situazione familiare più difficile o modesta. In secondo luogo, hanno genitori mediamente più giovani. Non sono un esperto virologo, ma i dati ci dicono che le persone sotto i 50 anni sono meno colpite. Passando ai licei, invece, la didattica a distanza può essere una strada, anche se preferirei una buona alternanza. Mi auguro che lo Stato, anziché investire in banchi a rotelle, decida di investire in wi-fi e computer per coloro che non possono permetterseli. Per l’università, infine, conta molto il tipo di facoltà. Le aree con laboratori, a mio parere, devono essere le ultime a chiudere. Negli altri casi, invece, periodi brevi di lockdown possono essere retti, ma anche in questo caso l’accento va posto su investimenti in tecnologia e didattica».

Secondo lei, nel medio-lungo termine, queste tipologie di facoltà potrebbero approfittare del cambio di paradigma legato alla pandemia per assumere sembianze diverse?

«L’università è una collettività, una comunità di persone che condividono esperienze, ricerca e socialità. Chi fa università online veicola un prodotto diverso, ma non è questa l’università. L’online, piuttosto, potrebbe essere un elemento per espandere l’esperienza della didattica».

© RIPRODUZIONE RISERVATA