Nel palazzo occupato di Casapound a Roma dipendenti di Comune e Regione

Nel palazzo occupato di Casapound dipendenti di Comune e Regione
Nel palazzo occupato di Casapound dipendenti di Comune e Regione
di Michela Allegri
Martedì 25 Giugno 2019, 00:41 - Ultimo agg. 13:41
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La terrazza sconfinata con vista sui tetti del centro di Roma, con la cupola della basilica di Santa Maria Maggiore che svetta in primo piano. I manifesti colorati alle pareti, le immagini del ventennio fascista e i relativi motti: «Marciare e non marcire», solo per fare un esempio. E poi, la lista degli occupanti: non famiglie in emergenza abitativa - non tutte, almeno - ma anche e soprattutto soggetti che percepiscono un reddito. Anche dal Campidoglio e dalla Regione Lazio.

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Agli atti dell’inchiesta della Corte dei conti sul mancato sgombero del palazzo sede di CasaPound in via Napoleone III, nel quartiere Esquilino di Roma, ci sono i reportage fotografici effettuati dalla Finanza il giorno del sopralluogo all’interno dell’immobile: immagini di 58 locali, 3 magazzini, 3 stanze di uso comune, 2 sale conferenze. E c’è anche l’elenco degli occupanti - con dichiarazione dei redditi annessa - che evitando di pagare l’affitto per 16 anni hanno provocato un danno erariale alle casse pubbliche da 4,6 milioni di euro. Dagli atti emerge che in via Napoleone III abita anche uno dei fondatori della formazione di estrema destra, Gianluca Iannone. È dipendente della Mag Srl, società di cui la moglie ha il 50 per cento di quote e che «gestisce l’attività di ristorazione denominata Osteria Angelino dal 1899, in via Capo d’Africa», si legge nell’informativa delle Fiamme gialle. Ha la residenza nel palazzo anche Alberto Palladino, detto “Zippo”, che era finito sotto processo per avere aggredito con spranghe e bastoni alcuni militanti del Pd che stavano affiggendo dei manifesti in via dei Prati Fiscali.
 

 


I DIPENDENTI PUBBLICI
La verifica sui redditi - prosegue la Finanza - è stata effettuata «per riscontrare la presenza di situazioni di vulnerabilità, con riferimento agli occupanti che hanno stabilito la residenza anagrafica al civico numero 8 di via Napoleone III». Dalle indagini è emerso che nella sede di CasaPound abitano il marito di una dipendente della Ragioneria Territoriale dello Stato, un dipendente della Laziocrea Spa, società in house della Regione Lazio, due dipendenti di Zètema Progetto Cultura, società in house del Comune di Roma, due dipendenti della Cotral, l’azienda di trasporto pubblico regionale, e una dipendente del Campidoglio. «Gli accertamenti - chiosa la Finanza - contrastano con le affermazioni del comunicato diramato da CasaPound e da Simone Di Stefano - leader del movimento - il 27 ottobre scorso», dopo il sopralluogo degli inquirenti. Aveva dichiarato che in via Napoleone III erano ospitate 18 famiglie in stato di emergenza abitativa. Circostanza che, per gli investigatori, è smentita «dai redditi dichiarati».

 


IL DANNO ERARIALE
Un’occupazione, quella della sede di CasaPound, che dura ormai da 16 anni: l’immobile è stato sottratto al Demanio e al Miur che lo aveva in gestione nel dicembre del 2003. Circostanza che, secondo i magistrati contabili, ha provocato un danno da 4,6 milioni di euro per le casse pubbliche, per i canoni d’affitto mai versati. Una cifra che il procuratore Andrea Lupi e il pm Massimiliano Minerva ora chiedono a nove dirigenti dello stesso Demanio e del Miur, colpevoli di non avere impedito l’occupazione e di non avere lavorato per ottenere lo sgombero, con negligenza «gravemente colposa», specificano gli inquirenti nell’invito a dedurre - cioè l’avviso di garanzia - notificato agli indagati. Per la Corte dei Conti, quello delle tartarughe frecciate sarebbe un «esproprio al contrario»: l’intera cittadinanza romana è stata privata di un bene finito nelle mani del movimento di ultradestra. E nessuno si sarebbe opposto con fermezza. Il Miur nel 2003 aveva infatti denunciato l’occupazione abusiva, ma l’atto era stato depositato senza la «procura» del ministero e quindi era stato invalidato a processo in corso. Dopo le prime riunioni convocate a palazzo Valentini per discutere di un eventuale sfratto, la tolleranza e il disinteresse per l’immobile - valutato quasi 12 milioni di euro - erano diventati praticamente totali: «Dal giugno 2008, per circa dieci anni, non risultano ulteriori iniziative da parte delle amministrazioni coinvolte», sottolinea il pm Minerva. Nessun nuovo esposto, nessuna richiesta di risarcimento danni, nessuna costituzione di parte civile, nessuna impugnazione dopo l’assoluzione a processo - per difetto di querela, appunto - di quattro esponenti del movimento.
 

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