Pd, Minniti si candida: «Se posso unire, ci sono»

Pd, Minniti si candida: «Se posso unire, ci sono»
Sabato 17 Novembre 2018, 11:00
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Si candida. Marco Minniti ha (finalmente) deciso non cosa fare da grande, ma che fare del Pd. Sarà in lizza per diventare il prossimo segretario dem, in competizione con Nicola Zingaretti e altri, e in rappresentanza-continuità della linea riformista ormai affermatasi nel Pd. L'altra, quella di sinistra d'antan, ha fatto la fine di Leu, spappolatasi in cinque mini gruppetti neanche un anno dopo la nascita.

Il dado è tratto, potrebbe aver detto Minniti, laureatosi a Messina con una tesi su Cicerone. Alea o non alea, la decisione è maturata paradossalmente in concomitanza di Salsomaggiore, proprio dove i renziani riunitisi non si sono espressi come un sol uomo a favore di Marco da Reggio Calabria. Ma hanno tentennato, tergiversato, puntualizzato, a cominciare dall'ex leader Matteo Renzi, che se non si è tirato fuori dalla contesa prossima ventura, comunque ci è andato vicino («non mi interessa battere Zingaretti, ma questa maggioranza di cialtroni gialloverdi»).
 
È stato come il segnale convenuto: al passo di lato renziano ha corrisposto il passo avanti di Minniti, restio a scendere in pista come il candidato di Renzi. E la candidatura è decollata.

Ieri sera a Firenze, presentando il suo libro con Renzi e Nardella, Minniti ha fatto l'annuncio quasi ufficiale: «Se la mia candidatura serve a unire il Pd, non mi sottraggo. Appena si avvieranno le procedure congressuali, scioglierò la riserva» (le procedure si sciolgono oggi con la convocazione dell'assemblea nazionale). «Marco è autonomo, non gli difettano autonomia e libertà, deciderà lui, io non intendo mettere cappello», ha puntualizzato a sua volta Renzi.

Come avverrà l'annuncio? Minniti dovrebbe rispondere positivamente a una sorta di appello rinforzato di sindaci, amministratori, parlamentari, personalità. Rinforzato perché a quello originario dei tredici (Nardella, Ricci e altri, tutti di fede renziana) seguirebbe questa volta un altro appello con più primi cittadini coinvolti, nonché governatori tipo Chiamparino (Piemonte), De Luca (Campania) e Oliviero (Calabria), più altri ancora. L'ufficializzazione vera e propria avverrebbe domani tramite la partecipazione a una trasmissione tv (Annunziata o Che tempo che fa). E' stata saggiamente scartata l'ipotesi di concedere una intervista a un solo giornale.

Ai blocchi di partenza, gli schieramenti interni si presentano così: con Zingaretti sta gran parte delle correnti: franceschiniani, orlandiani, gentiloniani, fassiniani. Con Minniti la parte renziana più vicina a Guerini, Lotti, Giacomelli, con gli altri non defilati ma neanche in prima fila (e con i vari Gozi, Giachetti, Fioroni a tenere viva la fiammella di una eventuale nuova forza politica, secondo lo slogan «andare oltre il Pd»). Un renziano come Delrio confluirà invece su Martina, la cui candidatura è data per sicura anch'essa. Lo stesso faranno Orfini e orfiniani, così come Serracchiani e Cuperlo, sancendo così di fatto che la vecchia maggioranza renziana non c'è più, è ormai un ricordo.

Nonostante tutto questo, i sondaggi interni danno già il duo Minniti-Zingaretti appaiati o con il primo leggermente in testa, talché già in tanti pronosticano un esito ai gezebo dove nessuno ottenga il 50,1 per cento, nel qual caso il nuovo segretario verrà eletto dall'Assemblea. Martina confluirebbe su Minniti? «Sì, ma solo se Marco arriva primo, non è che si possono alleare il secondo e il terzo per non far passare chi è arrivato primo», avverte chi di cose congressuali è esperto
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