Ma anche fuori dal «giglio magico» molti esponenti hanno fatto dichiarazioni contrarie a tale ipotesi, come il socialista Riccardo Nencini o il presidente del Pd Matteo Orfini o la ministra Valeria Fedeli. E sulla stessa linea Andrea Orlando, uno dei leader della minoranza interna. Solo Michele Emiliano ha insistito su questa proposta, invitato il Pd a «utilizzare il suo 18%» in favore di un accordo con M5s. Nei giorni scorsi alcuni intellettuali esterni al Pd, o anche ostili ad esso, hanno sollecitato i Dem all'accordo, invitandolo a tenere un referendum tra gli iscritti, sul quale Rosato (contrario all'intesa) ha aperto: «su decisioni importanti potrebbe essere utile una consultazione degli iscritti».
Ma tra i renziani e tra quanti aversano questa ipotesi, come ha detto Orfini, si è certi che gli iscritti boccerebbero queste nozze.
Il problema però è non lasciar da solo il Quirinale nel risolvere tutti i problemi. «Il primo giro di consultazioni andrà a vuoto - nota Francesco Boccia - e dopo il secondo magari ci sarà un incarico esplorativo». Diversi parlamentari osservano che se il Pd non si dichiara a priori indisponibile a un qualche accordo, dà a Mattarella una carta in più anche per sollecitare intese tra altri partiti più vicini tra loro, come appunto M5s e Lega e la stessa Fi. La dichiarazione di disponibilità non si tradurrebbe necessariamente in un impegno diretto. Ma Orfini mette in guardia: precedenti «chiamate alla responsabilità hanno danneggiato il Pd» come il sostegno al governo Monti nel novembre 2011 o il prolungamento della legislatura dopo il referendum del 4 dicembre. Insomma meglio essere chiari da subito: questo matrimonio non s'ha da fare.